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SPAZIO CRITICO
IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
"Take Shelter", di Jeff Nichols
I LaForche sembrano una normalissima famiglia della provincia americana (siamo in Ohio) impegnata come milioni di altre a inventarsi una vita accettabile nel pieno dell'imperversare della crisi economica che sta attanagliando il mondo.
(di Furio Fossati)
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Sezione: Recensioni
Invictus
Il fatto storico o noto a tutti gli appassionati di rugby, e non solo. Tra il 25 maggio e il 24 giugno del 1995, la repubblica del Sud Africa ospitò per la prima volta il campionato del mondo di rugby e, contro tutte le previsioni, lo vinse dopo una memorabile finale, con gli “all blacks” della Nuova Zelanda, conclusasi 15 a 12. Il Sud Africa era passato da poco dall’apartheid alla democrazia e motore di quella vittoria fu Nelson Mandela che, eletto presidente nel maggio dell’anno prima, fece di quella vittoria l’occasione della riconciliazione nazionale e internazionale, dando vita anche a uno dei momenti più emozionanti della storia dello sport, quando, indossando la maglia verde-oro e il cappellino degli “Springboks”, consegnò il trofeo nelle mani del capitano della squadra, l’afrikaner François Pienaar.
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La prima cosa bella
Paolo Virzì lascia le nevrosi e la solitudine esistenziale del “call center” (Tutta la vita davanti) e fa ritorno alla sua Livorno – la detestata e amata Livorno, già protagonista di La bella vita e di Ovosodo – per fondere, in un film appassionato e attraversato da un autentico amore per il cinema e per gli esseri umani, le due componenti narrative di quelle precedenti opere che si alimentavano evidentemente di ricordi autobiografici: la storia di una donna che attraversa l’esistenza trascinata da un’autentica voglia di vivere e quella di un bambino che cresce in rapporto al mondo che lo circonda, portandone inevitabilmente in sé i segni e le ferite delle esperienze fatte e del tempo che passa.
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Segreti di famiglia
Percorrendo come già fece Orson Welles una parabola rovesciata, Francis Ford Coppola vuole da alcuni anni trasformarsi da “tycoon” del cinema post-hollywoodiano in “filmaker” dell’età del digitale, andando così alla ricerca di un’altra giovinezza da quella che, muovendo dalla “factory” di Roger Corman, lo aveva portato a realizzare alcune delle opere cinematografiche più significative degli ultimi decenni del Novecento. Il risultato di questo percorso, già rintracciabile nell’impianto estetico e narrativo di L’altra giovinezza, è ora esibito in Segreti di famiglia, al punto di diventarne il vero soggetto.
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Nemico pubblico
Per accostarsi nel modo migliore a Nemico pubblico conviene subito mettere da parte alcune idee preconcette sul cinema di gangster. La cronaca c’entra poco, nonostante il film racconti con plausibile verosimiglianza gli ultimi anni di vita di John Herbert Dillinger, che tra il 1931 e il 1934 rapinò una trentina banche scorazzando tra numerosi stati del Midwest, uccise alcuni poliziotti, fu arrestato e fuggì due volte dal carcere, considerato un novello Robin Hood da molti lettori di giornale e un pericoloso nemico pubblico dai tutori dell’ordine, che contro di lui diedero vita anche a uno specifico bureau federale, riuscendo infine ad ucciderlo all’uscita di un cinema di Chicago dove aveva appena finito di vedere Le due strade (Manhattan Melodramma) con Clark Gable e William Powell.
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Il nastro bianco
Nel raccontare la storia di un microcosmo rurale, radiografato alla vigilia della prima guerra mondiale, l’austriaco Michael Haneke consegna al grande schermo quello che sinora può essere considerata l’opera più compiuta della sua pluripremiata carriera di regista. Il nastro bianco conserva, infatti tutti i pregi dei suoi più celebri film precedenti (Funny Game e La pianista) – assoluta e maniacale precisione nel comporre le inquadrature, ottima capacità di dirigere gli attori, consapevolezza che è lo stile a determinare il senso del racconto – ma li libera quasi completamente da quel compiacimento estetico, sovente spinto sino al limite del cinismo, che troppo spesso incombeva sui suoi racconti di sesso e di violenza.
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Racconti dell’età dell’oro
Quattro leggende metropolitane per raccontare la Romania di Nicolae Ceausescu vent’anni dopo la sua condanna a morte e la sua fucilazione avvenuta il giorno di Natale del 1989. Quattro episodi (ma al festival di Cannes ne fu presentato uno in più) scritti da Cristian Mungiu (noto soprattutto per Quattro mesi, tre settimane e due giorni sul tema dell’aborto) pensando alla commedia all’italiana, con la quale il film – messo in scena da un pool di registi – condivide non tanto lo stile cinematografico, quanto l’intento satirico nei confronti di un’umanità fortemente condizionata dal clima sociale nel contesto del quale essa si trova a vivere.
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Basta che funzioni
Esultano coloro che sin dai primi anni Settanta impararono ad amare quel suo modo di fare del cinema con i personaggi che guardano direttamente in macchina per spiegare allo spettatore il senso della vita sullo sfondo carezzevole di una New York nevrotica e multirazziale: Woody Allen è tornato dall’esilio europeo nella “sua” Manhattan e, pur per interposta persona (al suo posto sullo schermo c’è il divo televisivo Larry David) e tirando fuori dal cassetto un vecchio copione scritto per Zero Mostel, torna a sciorinare battute a raffica e a portare in primo piano la sintesi della sua concezione dell’esistenza umana.
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Bastardi senza gloria
Per una volta almeno ai genovesi è sembrato di vivere in una vera città europea con un film (diciamolo subito: un grande film!) che esce contemporaneamente doppiato e nella versione originale con i sottotitoli. Complimenti quindi alla distribuzione e all’esercizio genovese, tanto più perché Inglourious Basterds è proprio una di quelle pellicole nelle quali è assolutamente impossibile separare ciò che si vede da ciò che si ascolta, come del resto anche la forma dal contenuto. Quella di Tarantino è un’opera estrema e assoluta, insieme possente e folle come solo possono esserlo quelle degli animi artisti dalla divinità di uno specifico talento.
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