Vera Cruz (Robert Aldrich, 1954)

Di Oreste De Fornari.

La posta in gioco in questo western  picaresco, ambientato in Messico all’indomani della guerra di secessione, è una carrozza  su cui viaggia una contessa  francese. Nel doppio fondo è nascosto un forziere con tre milioni di dollari da spedire via mare in Europa per pagare armi e mercenari  destinati a sostenere il periclitante impero di Massimiliano. La trovata  rappresenta bene la falsa ingenuità  di tanti  western del periodo, considerati  di culto grazie alla critica francese.  In superficie un racconto avventuroso, improntato al manichesimo più edificante, e nel doppio fondo, rapacità, machiavellismo, ironia. Del resto era stato Hitchccock a sentenziare che più il cattivo è simpatico più il film è riuscito. E qui il cattivo senza pentimenti è Burt Lancaster, non solo il più simpatico, per come si fa beffe del cerimoniale di corte, ma anche il più sexy  per il suo sorriso insolente e per il bacio “alla francese” che scambia appunto con la contessa francese doppiogiochista Denise Darcel.

Ma per apprezzare il doppio fondo bisogna non perdere di vista  la superficie  del racconto, da un soggetto di  Borden Chase e, come altri di Chase ,soprattutto Là dove scende il fiume, imperniato sul tema degli amici nemici, dove una coppia di avventurieri rivelano strada facendo un indole morale ben diversa, altruista  e cavalleresco l’uno,  violento e malvagio il secondo. Inoltre, poiché il racconto si dipana su uno sfondo storico, in questo caso la sfortunata avventura coloniale  di Massimiliano d’Asburgo sostenuta da un corpo di spedizione francese inviato da Napoleone III, e contrastato dai messicani agli ordini del presidente Juarez, un ulteriore elemento di caratterizzazione dei due antagonisti è appunto la scelta di campo politica. Cooper si schiererà con i juaristi , Lancaster con gli imperiali ( anche se in realtà agisce sempre per il proprio tornaconto).

Scelte prevedibili ma non troppo.  Uno spettatore  poco pratico di western ( e di divismo)   può aspettarsi almeno fino a metà film che le cose andranno in modo meno scontato, che  Lancaster si redima schierandosi con i messicani o che Gary Cooper rimanga al servizio dei francesi e si riveli più  cinico di quel che sembrava. Del resto pochi anni dopo lo stesso Gary Cooper, nei panni del medico eroe di L’albero degli impiccati, che restituisce la vista a Maria Shell, punirà con inconsueta spietatezza  Karl Malden, che aveva tentato di violentarla (inconsueta rispetto alle regole morali stabilite dal codice Hays di autocensura).

La novità  rispetto ad altri western scritti da Borden Chase, oltre che nell’attenuazione del manicheismo cui si è accennato, è nel tono, un po’ più violento, un po’ più spregiudicato del solito. La contessa che spara in faccia a un messicano , il supplizio che  i  lanceri francesi infliggono al ribelle prigioniero , Lancaster che sequestra un gruppo di bambini per ricattare i juaristi ( è solo un bluff?). Si aggiunga che anche la coppia dei buoni, formata da Gary Cooper e Sarita Montiel, non è irreprensibile , la ragazza  è una ladra e  nel corso del loro primo incontro ruba il portafoglio a Cooper. Anche il folklore storico geografico è inconsueto. Le piramidi azteche, la fiesta dove si balla il fandango, l’apparizione dell’imperatore nella reggia di Chapultepec, alla cui presenza i due americani si esibiscono in una prova di tiro a segno  con i  Winchester.

Inoltre il film ha il fascino, agli occhi di noi ex liceali italiani, di unire la mitologia western con la storia del  Risorgimento, in un incrociarsi di sombreri e di elmi di cavalleria,   sciabole   e mitragliatrici. Tanto più che Massimiliano , fratello minore  di Francesco Giuseppe , era stato governatore del Lombardo Veneto, e che Napoleone III era intervenuto dalla parte dei piemontesi  nella seconda guerra di indipendenza .

Per chi volesse saperne di più su come sono andate veramente le cose può essere d’aiuto il film Il conquistatore del Messico di William Dieterle ( 1939 ), scritto tra gli altri da John Huston, con Brian Aherne come Massimiliano e Paul Muni nel ruolo di Juarez. Ma anche nel film di Aldrich i riferimenti storici, più o meno espliciti, sono plausibili. Per esempio l’ufficiale  con la divisa verde potrebbe essere ispirato al barone Zum Salm Salm, che uscì incolume  dall’avventura messicana per tornare in patria e morire pochi anni dopo nella guerra franco prussiana. L’attore che lo interpreta, Harry Brandon, è di origine tedesca. E’ così adatto a fare il cattivo che Ford lo avrebbe scelto per il ruolo di Scar , il feroce capo comanche antagonista di John Wayne in Sentieri selvaggi.

Tornando all’Europa, è da ricordare Miramar, la poesia di Carducci dedicata alla  storia di Massimiliano e al suo castello di Miramare nei pressi di Trieste, da cui l’imperatore era partito nell’aprile del 1864. Lo stile sovraccarico di questa ode barbara, poco apprezzata dai critici, potrebbe rivaleggiare col barocco messicano di Aldrich.

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