Indiscreto (Stanley Donen, 1956)

di Oreste De Fornari.

Se è vero, come ha detto da qualche parte Victor Hugo, che la bellezza con le rughe può essere deliziosa, e se è vero che guardare gli attori che invecchiano è uno dei piaceri più profondi che il cinema è in grado di regalarci, allora ritrovare la coppia di Notorious dieci anni dopo in una commedia romantica è una ragione sufficiente per vedere o rivedere Indiscreto.

Questa volta gli ostacoli alla love story non sono le spie, non sono il pregiudizio, non sono altre persone, figli mariti amanti, anzi finito il film non si ricorda bene cosa abbia impedito ai due di mettersi assieme fin da principio. Forse, ripensandoci, il problema  è proprio l’età, il passare degli anni che li ha resi  più diffidenti, più egoisti, più legati alle loro comode abitudini, cui va aggiunta la condizione sociale molto privilegiata: lei è una celebre attrice teatrale (non fa che rilasciare autografi), lui un noto economista che lavora per la Nato. Quando passeggiano sul lungo Senna (o è il lungo Tamigi?) sono scortati da una limousine con autista.

Vivono appunto tra Londra e Parigi e non è facile capire dove si svolge l’azione, anche perché quasi tutto avviene nella casa di lei, in interni ( il film è tratto da una commedia). C’è il controspionaggio che li sorveglia, ma solo per la loro sicurezza. Due parenti di lei e una coppia di servitori fanno da coro. Il glamour nasce dall’aplomb ironico di lui e dalla dolcezza venata di malinconia di lei, come nell’altro film. Lui, questo l‘originale spunto su cui si fonda la commedia, per non lasciarsi coinvolgere troppo, finge di essere sposato; lei, più indifesa, confessa subito i suoi sentimenti: scoperto il segreto cerca di ingelosirlo incoraggiando un suo vecchio corteggiatore, lui cade nella trappola e la chiede in moglie. Un debole gioco di equivoci, come si può vedere. Oggi una storia simile sarebbe scritta in uno stile più realistico, più psicologico e lui sarebbe Jeremy Irons o Daniel Auteuil.

Allora Donen ha adottato uno stile alla Lubitsch, eufemistico ma non troppo. Quando i due entrano nell’appartamento di lei e la porta si richiude alle loro spalle, la macchina da presa rimane fuori e arretra leggermente: abbiamo capito che passeranno la notte insieme. Il mattino dopo lui è rientrato nel suo appartamento, e li vediamo scambiarsi il buongiorno al telefono, dal letto. Si danno del tu, segno inequivocabile di intimità nel codice del doppiaggio di allora (le voci di Gualtiero De Angelis e Lidia Simioneschi sono inseparabili dal fascino dei due attori). Lo schermo è diviso in due, trovata che ritorna ogni volta che i protagonisti si danno la buonanotte al telefono. E’ una piccola civetteria modernista lo split screen, anche se non del tutto inedita. Perché Donen a suo modo era un originale, e persino uno sperimentatore.

Tra i suoi titoli meno noti è il caso di ricordare un musical a sfondo crepuscolare, E’ sempre bel tempo,  uno di argomento sindacale Il gioco del pigiama con Doris Day , e Il mio amico il diavolo, attualizzazione del mito di Faust nella swinging London. A volte Donen ci sorprendeva con qualche idea insolita, in anticipo sui tempi, e poi magari non la sviluppava abbastanza. In Indiscreto ci ha incantato con una commedia romantica, leggermente fuori moda, e non si è accorto che stava raccontando l’ultima avventura  di Casanova.

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