“Crime and Punishment / Ho ucciso!” (1935) di Josef von Sternberg

di Renato Venturelli.

Le storie del noir citano abitualmente Sternberg tra i precursori del noir per l’onirismo gangster di Le notti di Chicago, per La mazzata e poi per quell’anomalo capolavoro protonoir che è I misteri di Shanghai. Lo stesso Sam Fuller diceva di aver accettato nel 1960 di dirigere La vendetta del gangster – quasi una rilettura globale dell’intero ciclo noir – perché il titolo (Underworld USA) gli ricordava Underworld, cioè Le notti di Chicago: «ero innamorato del titolo perché evocava Josef von Sternberg, Clive Brook e George Bancroft. Era il primo film di gangster che avevo visto… Ho accettato, in ricordo di Sternberg».

Nel 1935 il regista aveva però realizzato anche Ho ucciso!, una versione di Delitto e castigo che nonostante il potenziale confronto autoriale con Dostoevskij e la presenza di Peter Lorre si rivelò addirittura il film “meno personale della sua carriera” (Coursodon): il primo titolo per cui vale la sua famosa affermazione (“I stopped making films in 1935”) e che viene a malapena citato nelle monografie sul regista.

D’altra parte, Sternberg non voleva nemmeno dirigerlo, convinto che il romanzo fosse inadattabile per lo schermo e che Peter Lorre fosse una scelta totalmente sbagliata per il personaggio di Raskol’nikov (per quanto, ricordano Youngkin, Bigwood e Cabana, nella sua autobiografia riconobbe che era l’unico membro del cast a essersi almeno preso la briga di leggere il romanzo). La sceneggiatura di S.K.Lauren e di Joseph Anthony era inoltre molto riduttiva, in quanto trasformava la complessità dell’opera originaria in un semplice “melodramma psicologico”, e per di più una settimana prima dell’uscita del film venne presentato negli Stati Uniti il film che Pierre Chenal aveva realizzato dallo stesso romanzo: il confronto tra le due opere nelle recensioni affossò definitivamente il lavoro di Sternberg.

Dimenticando però Sternberg, Dostoevskij e le lecite attese che si avevano per un’operazione così ambiziosa, va però detto che Ho ucciso! è un film tutt’altro che trascurabile, ha molti momenti buoni e svariati aspetti che lo rendono interessante nella nostra ottica.

Innanzitutto per la presenza di Peter Lorre, capace di variare continuamente i registri e di inserire i suoi momenti di disperata ironia: la sua interpretazione venne definita “ipnotica” nelle recensioni d’epoca e può essere vista come una sorta di passaggio tra il personaggio di M e quello di Lo sconosciuto del terzo piano. Roger Dooley ricorda che quarant’anni dopo, durante un revival del film, The New Yorker trovava che qualsiasi cosa si potesse pensare di questa versione hollywoodiana “aveva il più grande Raskol’nikov di qualsiasi versione cinematografica: Peter Lorre”.

Ma è anche significativo per il nostro discorso il fatto che, in un decennio dominato da epopee gangsteristiche e mysteries ad enigma, il film riconduca inevitabilmente lo sguardo sul crimine al punto di vista del singolo individuo e del suo percorso interiore, come poi accadrà al noir degli anni ’40.

Inoltre, pur mancando quasi totalmente l’atmosfera dei capolavori di Sternberg, la collaborazione col direttore della fotografia Lucien Ballard porta a singoli momenti di notevole fascino visivo. A cominciare dalla sequenza iniziale, quando gli studenti vengono inquadrati come buie ombre, e Lorre/Raskol’nikov si stacca per entrare in piena luce ed essere premiato: mentre a parole viene celebrato, le immagini ci dicono tutt’altro. Quindi, nelle numerose sequenze all’interno degli edifici, dove Lorre scivola lungo i muri, e la fotografia esalta i giochi di ombre o gli incroci piranesiani delle scale. Formatosi alla scuola di Sternberg sui set di Marocco e Capriccio spagnolo, il giovane Ballard si trovava qui al suo primo incarico come direttore della fotografia: da lì a pochi anni diventerà uno dei grandi creatori del ciclo noir classico.

 

 

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