44° Festival del Cinema Americano di Deauville 2018 – Vince “Thunder Road”

di Antonella Pina.

Il Festival del Cinema Americano di Deauville è giunto alla 44ᵃ edizione. La giuria, composta da otto membri tra cui Sabine Azéma, Stéphane Brizé, Pierre Salvadori e presieduta da Sandrine Kiberlain, ha assegnato il Grand Prix a Thunder Road di Jim Cummings e il Premio della giuria ex aequo a American Animals di Bart Layton e a Night Come On di Jordana Spiro. Il Premio della critica è andato a Blindspotting di Carlos López Estrada. La Fondazione Louis Reder ha premiato We the Animals di Jeremiah Zagar come film rivelazione. Infine, il Premio del pubblico della città di Deauville è stato assegnato a Puzzle di Marc Turtletaub.

Quest’anno il Festival ha registrato un calo d’affluenza, raramente le sale cinematografiche hanno fatto il tutto esaurito come accadeva per le passate edizioni. E questo nonostante le belle giornate di sole – fredde, praticamente un assaggio d’inverno, ma forse solo per chi veniva dalle calde giornate del Sud – che nel weekend hanno portato i parigini ad affollare i Café lungo le planches e quelli in Place de Morny. Il livello dei film in programmazione è stato decisamente alto, e quindi dobbiamo pensare che siano state le inevitabili misure di sicurezza nell’area delle tre grandi sale cinematografiche – militari armati, metal detector, barriere anti-sfondamento – a causare qualche fastidio e a togliere un po’ di entusiasmo agli spettatori. Il pubblico del Festival di Deauville è a suo modo esigente, esibisce un’eleganza un po’ d’antan, anche se non si scoraggia di fronte agli argomenti decisamente forti trattati dai film in concorso. Una grande folla si è invece  riversata sulle planches nei giorni in cui Morgan Freeman e Sarah Jessica Parker, vi si  sono recati per inaugurare le loro “cabine”. Le cabine sur les planches, sono il Walk of Fame di Deauville. A Freeman è andato l’ Hommage di questa edizione del Festival: un tributo dedicato “al piacere del cinema americano attraverso i suoi miti e le sue leggende”.

I film proiettati a Deauville vengono tutti dal cinema indipendente. Molti dei quattordici film  in concorso passano prima dal Sundance Film Festival e alcuni da sezioni del Festival di Cannes come la Quinzaine des Réalisateurs o la Semaine de la Critique. Lo sguardo sul mondo di questa particolare forma cinematografica è sempre molto personale. Il linguaggio del cinema indipendente spesso non segue le regole del cinema classico, ma le storie che gli autori raccontano sono molto concrete, molto vicine alla realtà della vita, e ci consentono di osservare il volto in ombra della società americana. La motivazione del Festival recita: “.. per poter conoscere lo sguardo artistico sulla verità del mondo. E scoprire i nuovi talenti”.

Quest’anno lo sguardo del cinema indipendente americano ha colto situazioni di grande disagio sociale e individuale. E ha raccontato storie di uomini e donne profondamente infelici.

Richie, un ragazzo cresciuto in orfanotrofio (Friday’s Child di A.J.Edwards), con l’abitudine ai piccoli furti e ai piccoli inganni ma non alle normali relazioni umane, uccide suo malgrado la madre dell’unica donna, con cui era riuscito ad essere se stesso.

Dorothy, Rebecca, Wendy….. donne nel braccio della morte (Dead Women Walking di Hagar Ben-Asher), tutte colpevoli di omicidio al di là di ogni possibile dubbio, prima di morire raccontano la loro versione della storia. Vite fatte di povertà, degrado, umiliazioni e violenze domestiche: difficile giudicarle per aver oltrepassato il limite, difficile applicare alle loro scelte il nostro concetto di giustizia. “In America nessun ricco viene condannato a morte”.

Will, un padre in fuga dal mondo (Leave No Trace di Debra Granik) perché ossessionato da qualcosa di terribile accaduto in guerra, non importa quale guerra, costringe se stesso e la figlia di quindici anni a vivere nei boschi senza alcun contatto con altri esseri umani.

Poliziotti bianchi ammazzano un nero senza nessuna valida ragione e la fanno franca (Monsters and Men di Reinaldo Marcus Green), nonostante alcuni giovani uomini siano disposti a mettere a repentaglio la loro vita per ottenere giustizia.

Angel, una ragazza nera di diciotto anni, (Night Come On di Jordana Spiro) esce di prigione dove era finita per droga, prostituzione e furti. Una giovane vita allo sbando come tante altre, ma Angel ha una ragione speciale: ha visto suo padre uccidere sua madre e lo ha visto vendere la casa per pagare un buon avvocato ed evitare la galera. Quando esce di prigione Angel non è sola al mondo, ha una sorella più piccola con la quale e per la quale potrebbe ricominciare una nuova vita, ma in realtà il suo unico desiderio è quello di uccidere il padre. Si prostituisce per comprare un’arma e inizia a cercarlo. Armata e difesa da una corazza di durissima ostilità verso il mondo, si mette in viaggio con la sorella più piccola per raggiungere il mare e la sua vendetta. Com’è noto, Il viaggio, soprattutto se procede lentamente verso la meta, aiuta a comprendere gli altri e se stessi.

Lisa, una maestra d’asilo, aspirante poeta – una  bravissima Maggie Gyllenhaal – (The Kindergarten Teacher di Sara Colangelo) è delusa da se stessa e dalla vita familiare, in particolare dai figli adolescenti. Quando scopre il talento di uno dei suoi alunni di cinque anni, capace di elaborare del tutto spontaneamente semplici eppure profonde composizione poetiche, comincia a dedicargli ossessivamente tutto il suo tempo. Finalmente la sua vita ha un senso ed uno scopo: coltivare il talento del giovanissimo poeta. I genitori del piccolo non sono in grado di comprenderne le doti e guardano con sospetto le attenzioni dell’insegnante. Decidono così di allontanare il bambino dall’asilo. Lisa perde completamente il senso della realtà e lo rapisce.

Jennifer, una donna di circa cinquant’anni, affermata documentarista, (The Tale di Jennifer Fox) è costretta a riconsiderare il suo passato e a riportare alla memoria un periodo della sua infanzia completamente rimosso. Dopo molte resistenze cerca di focalizzare i suoi ricordi su se stessa all’età di tredici anni e a inquadrare  nel modo corretto la storia vissuta con il suo istruttore sportivo. L’ uomo, un trentenne che godeva della fiducia della sua famiglia, dopo averla soggiogata psicologicamente, ne aveva fatto la sua amante.  Una storia difficile da raccontare per immagini ma ci è parso che la Fox, Laura Dern nei panni di Jennifer adulta e Isabelle Nélisse in quelli di Jennifer tredicenne, ci siano riuscite.

Diane (Diane di Kent Jones), una donna non più giovane con un figlio tossicodipendente, schiacciata da un forte senso di colpa per un errore commesso durante la giovinezza, vive gli ultimi anni della sua vita aiutando gli altri e andando ai funerali di amici e parenti. Muore sola, nel giardino della sua casa, in inverno, circondata dalla neve, mentre mette la granaglia nelle casette degli uccelli: “avevo ancora una cosa importante da fare”, riesce a dire, prima che i suoi occhi fissino, ormai spenti, il cielo. Straziante.

Collin, (Blindspotting di Carlos López Estrada) un giovane ragazzo di colore finito in prigione per aver picchiato a sangue un uomo, esce dal carcere con un anno di libertà vigilata. Questo significa andare a dormire alle 23 in una sorta di dormitorio, trovare un lavoro e comportarsi secondo le regole perché un minimo errore lo riporterebbe in carcere per molti anni. Collin trova un lavoro in una ditta che sgombera vecchie case e si rimette sulla buona strada. Quando il film ha inizio, l’anno è quasi passato, mancano solo tre giorni prima della fine della libertà vigilata e parte il conto alla rovescia. Una sera, fermo con il camion ad un semaforo rosso, Collin vede un poliziotto bianco inseguire un uomo nero disarmato e intimargli l’alt. Vede distintamente la paura sul volto dell’ uomo di colore e vede il poliziotto prendere la mira e sparare. Il semaforo torna verde e Collin, terrorizzato, riprende la sua strada, ma lo spettatore sa che non sarà facile per lui uscire indenne dalla situazione pericolosa in cui il destino lo ha messo.

Jonah, un ragazzino di circa tredici anni (We the Animals di Jeremiah Zagar), è l’ultimo di tre fratelli, sua madre è americana e suo padre portoricano. Il padre di Jonah lavora saltuariamente, è forte e spavaldo, a volte è simpatico, altre volte diventa violento e picchia la moglie. Jonah avrebbe voluto essere come gli altri uomini della sua famiglia e invece è fragile come la madre, come lei ha paura dell’acqua e non sa nuotare. Sa di non possedere la forza e la spregiudicatezza del padre e dei fratelli, ma soprattutto sa di essere omosessuale. Confida questo suo terribile segreto ad un diario dove con schizzi di matita dà vita e forma  alle sue paure e ai suoi desideri. Nasconde il diario come un tesoro, ma un giorno i fratelli lo trovano e allora a Jonah non resta che fuggire e affrontare la vita da solo.

 

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