Festival del Cinema Americano di Deauville 2018 – “American Animals” di Bart Layton

di Antonella Pina.

American Animals, primo lungometraggio di Bart Layton, già noto come autore del documentario The Imposter (L’impostore), uscito in Italia nel 2014,  ha vinto il Premio della giuria del Festival di Deauville ex aequo con Night Comes On di Jordana Spiro.

“This is not based on a true story” è la scritta che compare all’inizio del film, poi le parole “not based on” scompaiono e resta “This is a true story”. Con questa ambiguità d’apertura ha inizio il racconto di un furto di libri rari dalla biblioteca della Transylvania University nel Kentucky. Forse il fatto è realmente accaduto nel 2004, e forse l’università della Transilvania esiste realmente. L’università pare esista realmente, ma circa il furto non ci sono dati certi. Layton racconta la storia di quattro giovani di buona famiglia, anzi, tre giovani di buona famiglia più Warren che si trova già sulla cattiva strada. Warren assomiglia al Drugo Alex.  I quattro elaborano un piano per rubare libri rari conservati all’interno della biblioteca del Campus dove uno di loro studia. Tra questi la prima edizione americana de L’origine della specie di Charles Darwin e gli splendidi volumi The Birds of America di Audubon.

L’idea scaturisce dalla mente del più giovane dei quattro, Spencer, dopo che una mattina, in visita con la scuola alla biblioteca universitaria, vede i libri preziosi e ascolta l’anziana bibliotecaria parlare del loro inestimabile valore. Inizialmente si tratta di un gioco per sottrarsi alla monotonia di giornate sempre uguali poi, dopo essere stati su Google per cercare “come si realizza una rapina perfetta”, a poco a poco il piano minuzioso e rocambolesco prende forma. Warren organizza anche un viaggio ad Amsterdam per incontrare un noto ricettatore d’opere d’arte che ha il volto di Udo Kier.  Quando tutto è pronto, la fortuna offre ai componenti del gruppo la possibilità di tornare indietro, ma questi non colgono l’opportunità e procedono. Il piano si rivela un catastrofico fallimento. Alcuni libri vengono effettivamente rubati ma, da criminali inesperti quali sono, i quattro commettono così tanti errori che nel giro di pochi giorni vengono catturati. Avrebbe potuto essere solo una bravata se non fosse che all’anziana bibliotecaria viene fatto del male, per quanto involontariamente, e i ragazzi vengono condannati a sette anni di reclusione senza alcuno sconto di pena.

Il film procede su piani diversi che si sovrappongono e si intersecano. C’è la storia vera, con le interviste ai quattro ideatori del furto, alla bibliotecaria e ai genitori dei ragazzi, letteralmente scioccati per l’accaduto. Poi c’è la finzione cinematografica. Ma l’ambiguità iniziale si dilata. C’è realmente stata una vera rapina? Una vera bibliotecaria? Veri genitori? Warren è realmente andato ad Amsterdam? In fondo Spencer lo ha lasciato all’ingresso dell’aeroporto, non lo ha mai visto salire sull’aereo. Quale giovane studente americano andrebbe mai ad Amsterdam per incontrate un ricettatore? I ragazzi forniscono versioni discordanti dell’accaduto. Alcune scene vengono ripetute perché ricordate in modi diversi, mentre altre, con il progredire della storia, perdono la loro verità.

Un film drammatico, un thriller, una commedia: un bel film.

Il racconto termina con l’intervista ai quattro veri protagonisti della storia, perché possano spiegare al pubblico come quell’esperienza abbia segnato le loro vite. Ciò che emerge è il rammarico per la sofferenza inflitta alla bibliotecaria e lo stupore per la superficialità che li ha portati a perdere sette anni della loro vita. Ma dallo sguardo di Warren, come da quello del Drugo Alex dopo l’imposizione della cura, traspare l’ eccitazione per la coraggiosa follia del gesto. Quale follia? E quale gesto? Forse il più grande e il più folle di tutti, quello reso possibile dalla finzione cinematografica.

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