Alla ricerca del cinema perduto – Sorelle mai

Sorelle MaiNon credo sia esagerato affermare che Sorelle Mai è il migliore film italiano visto nella stagione. Ma questa affermazione ha bisogno di essere motivata, affinché qualcuno non la ritenga provocatoria. Intanto, non penso sia necessario, per giustificarla, ricorrere all’alibi della genesi occasionale del film, fuori dai canonici sistemi produttivi, in un periodo di riprese “casalinghe” che va dal 1999 al 2008; perché Bellocchio, lungi dal prendere questi evidenti limiti tecnici come una scusa ha saputo farne una specifica componente estetica della sua opera: sia sul piano stilistico, sia su quello drammaturgico.
Sorelle Mai è un film sperimentale nel senso più positivo del termine e in questo senso è anche, almeno linguisticamente, forse il film più “sessantottino” del suo regista, che sembra voler cancellare tutta la storia “industriale” del cinema per ripartire dall’inizio (dall’”Anno Zero” si diceva allora). Come in un certo senso accadeva già a I pugni in tasca (qui più volte citato visivamente nella prima parte, oltre che tematicamente nella comune attenzione alle relazioni famigliari). Solo che la forza rivoluzionaria dell’assunto, che là si evidenziava soprattutto sul piano dei contenuti, qui riposa interamente nella libertà del linguaggio. Almeno nei momenti più veri e autentici di un film, che pur non fa mistero della propria discontinuità. Puntando lo sguardo delle sue telecamere (in dieci anni ne ha cambiate sicuramente molte, e la qualità delle riprese lo denunciano con evidenza) sulla propria città (Bobbio) e sul proprio nucleo famigliare (le sorelle maggiori, il fratello Alberto, i due figli, gli amici, ecc.), Bellocchio non intende affatto fare il suo “amarcord”, quanto piuttosto realizzare una sintesi tra l’”ingenuità” dei fratelli Lumière e la “semplicità” del più volte citato Anton Cechov. E, siccome sovente ci riesce, il risultato è decisamente appassionante: immediatamente comunicativo, portatore di una limpida evidenza estetica, privo di ogni narcisismo felliniano. Attraverso i suoi parenti e amici d’infanzia (ai quali si aggiungono come “guest stars” Donatella Finocchiaro e Alba Rohrwacher), Bellocchio si preoccupa soprattutto di raccontare gli esseri umani e le relazioni tra i personaggi o di questi con lo spazio figurativo. Fa, cioè, del cinema e non dell’autobiografismo. E il suo è un cinema davvero molto forte e incisivo. Soprattutto quando non ha bisogno di esibirsi in quanto tale: segno di una maturità che per il regista Bellocchio è stata una lenta e faticosa conquista (non c’è nulla di più faticoso della semplicità), di cui forse deve ancora completamente convincersi lui stesso, se anche in Sorelle Mai finisce poi con l’aver bisogno di introdurre la “spiega” di quello che è già contenuto nelle sue sequenze più autentiche. Evidenziando questo limite costituzionale di un film altrimenti molto vivo, non intendo tanto far riferimento alla divagazione evidente dell’episodio con la professoressa Rohrwacher (certo narrativamente un po’ forzato, ma con l’enorme pregio di portare in primo piano un tema, quello della “distrazione”, che è implicito in tutto il film), quanto invece criticare quel suo finale metaforico – questo sì alquanto felliniano – rappresentato dal suicidio pubblico dell’uomo in frack. Pur essendo sul piano tecnico la sequenza meglio girata del film, il migliore Bellocchio poteva davvero evitare quel finale, perché esteticamente non c’entra nulla con il resto e concorre piuttosto a involgarirlo (“ora ti spiego quello che hai visto”), piuttosto che partecipare alla sua essenza e alla sua qualità.

(di Aldo Viganò)

Sorelle Mai
(Italia, 2011)
Regia e sceneggiatura: Marco Bellocchio
Fotografia: Marco Sgorbati e Gian Paolo Conti
Musica: Carlo Crivelli e Enrico Pesce
Montaggio: Francesca Calvelli
Interpreti: Letizia Bellocchio, Maria Luisa Bellocchio, Elena Bellocchio, Pier Giorgio Bellocchio, Donatella Finocchiaro, Alba Rohrwacher, Gianni Schicchi, Silvia Ferretti, Valentina Bardi, Alberto Bellocchio, Irene Baratta, Giovanna Berretta, Anna Binachi
Distribuzione: Teodora Film – Durata: un’ora e 45 minuti

Postato in Numero 93, Recensioni, Recensioni di Aldo Viganò.

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