Al Genova Film Festival di quest’anno una rassegna sull’Ecuador
Esiste in Ecuador una lunga storia di produzione cinematografica: purtroppo, nonostante la qualità o il valore storico di alcuni tra questi contributi, fino ad ora il cinema di questo paese non ha però avuto grande impatto, a parte alcune eccezioni.
Si potrebbe affermare che la produzione abbia avuto inizi durante gli anni ’20, con la produzione del primo lungometraggio, El Tesoro de Atahualpa (Il Tesoro di Atahualpa) diretto dall’ecuadoriano Augusto San Miguel, o col documentario Los invencibles Shuaras del alto Amazonas (Gli invencibili Shuaras del altro Amazonas) realizzato dall’italiano Carlos Crespi Legano. Tra il 1930 e 1931, l’avvento del sonoro arresta però lo sviluppo dell’industria cinematografica, che tenta di far fronte alla novità attraverso il sonoro dal vivo, vale a dire l’interpretazione dei testi e delle canzoni contemporaneamente alla proiezione. Ma il tentativo non ha successo, e per quasi due decenni il cinema nazionale si dedica a documentari, cinegiornali e reportage turistici promozionali, con l’eccezione di due lungometraggi realizzati nel 1950. Negli anni ’60 proliferano le co-produzioni col Messico e il cinema ecuadoriano viene promosso dagli intellettuali, con tanto di presentazione di un disegno di legge per la produzione di film, ma anche stavolta senza fortuna.
E’ solo a partire dagli anni ’80 che la cinematografia ecuadoriana torna alla produzione di lungometraggi, ad esempio con l’adattamento cinematografico nel 1989 di La Tigra (La Tigre), opera dello scrittore ecuadoriano José de la Cuadra. A dirigere il film è Camilo Luzuriga, autore anche di Entre Marx y una mujer desnuda (Tra Marx e una donna nuda) tratto dal libro di Jorge Enrique Adoum. Ma il film che segna un prima e un dopo nel panorama ecuadoriano è Ratas, ratones, rateros (Ratti, topi, ladri), diretto nel 1999 da Sebastián Cordero e presentato prima al Festival di Venezia, poi a Toronto, San Sebastián o Buenos Aires, premiato a Huelva e La Habana.
Questo film ha dimostrato che un prodotto ecuadoriano poteva riempire le sale cinematografiche nazionali ed essere riconosciuto dalla critica internazionale. Da questo momento in poi, il cinema realizzato in Ecuador acquista un altro slancio: Fuera de juego (Fuori gioco) di Víctor Arregui viene premiato al Festival di San Sebastián e Fernando Mieles vince il premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cine Pobre de Gíbara, mentre nascono nuove scuole di cinema e festival come Encuentros del Otro Cine EDOC (dedicato al documentario) o il Festival di cinema iberoamericano Cero Latitud. Nel frattempo, il film Qué tan lejos (Quanto lontano) della regista Tania Hermida vince lo Zenith d’argento a Montreal, categoria Opera Prima, e diventa un fenomeno sociologico, ottenendo più di trecento mila spettatori in Spagna e un’accoglienza sorprendente tra gli ecuadoriani, considerando lo scarso apoggio al cinema locale.
Sono questi gli avvenimenti fondamentali che hanno dato forma a quello che ora si definisce cinema ecuadoriano. Un cinema a basso budget (il costo medio di produzione è di trecentomila dollari, ma molti film sono stati realizzati con budget molto più bassi) e con una scarsa distribuzione internazionale, con pretese realistiche e in cerca di una via di mezzo tra road movie, thriller e tradizione del Nuovo Cinema Latinoamericano, più per ragioni di costi che per ideologia: questo significa l’uso di luce naturale, location in esterni, utilizzo di attori non professionisti.
Un cinema che cerca di professionalizzarsi, partecipare a festival, competere con i mercati, gestire bilanci internazionali, soddisfare gli standard di qualità mondiale, diventare insomma un’industria. Fino a poco tempo fa, ogni regista si arrangiava per conto proprio, in quanto non esisteva il concetto di un cinema nazionale. Tuttavia, nel 2006 si sono visti grandi sviluppi nella legislazione ecuadoriana sul cinema, con la promulgazione di una legge e di un regolamento sulle modalità di creazione, produzione, distribuzione, marketing e altre attività volte a rafforzare lo sviluppo dell’industria cinematografica. Inizia così il processo di creazione del Consejo Nacional de Cinematografía del Ecuador (CNCINE), composto da quattro delegati del settore pubblico e da tre rappresentanti delle organizzazioni professionali del cinema. Questo organismo sarà responsabile della gestione del Fondo per la promozione nazionale del cinema, al fine di sostenere la produzione in maniera regolamentata.
Nel 2007 le cose sembrano così cambiare: grazie ai fondi dello Stato, il cinema ecuadoriano comincia ad avere una sua identità sulla scena internazionale. Tra le pietre miliari spicca Cronicas, opera seconda di Sebastián Cordero, selezionato a Cannes nel 2004 (sezione Un Certain Regard) e al Sudance Film Festival: i film successivi del regista sono Rabia (da un romanzo di Sergio Bizzio) e Pescador, attualmente in postproduzione.
Altri film, intanto, stanno venendo alla luce, come il documentario El Comité di Mateo Herrera, Cuando me toque a mí di Víctor Arregui (premio a Manuel Calisto come miglior attore al Festival di Biarreitz), Esas no son penas di Anahí Hoenesein, Prometeo deportado di Fernando Mieles, A tus espaldas di Tito Jara. Ormai si può dire che esistono esempi notevoli di cinema ecuadoriano, capaci di mostrare un mondo in cui gli spettatori stranieri possano immergersi per capire com’è questo paese e la sua gente. Ogni racconto ha uno sguardo diverso, un’estetica diversa, ma un obiettivo in comune: proiettare un’immagine realistica dell’Ecuador, paese che possiede un paesaggio ricco e variegato, persone di etnie differenti, che vivono tutte in uno stesso stato, dove ognuno ha il proprio modo di esprimere se stesso e le proprie convinzioni. Questo nuovo approccio culturale è un mondo nuovo che vuole propagarsi nelle sale cinematografiche di oggi e fare parte della storia del cinema mondiale.
(di Carla Salgado)