XXXIX Il Cinema Ritrovato 2025 – Ritrovati e Restaurati

di Antonella Pina.

One Flew Over the Cuckoo’s Nest (Qualcuno volò sul nido del cuculo), girato da Miloš Forman negli Stati Uniti nel 1975 e interpretato da un giovane ma già grande Jack Nicholson insieme ad uno straordinario coro di attori, è uno dei film più importanti degli anni ‘70 e quest’anno ha compiuto cinquant’anni. Un film della controcultura americana che usa un manicomio come metafora della capacità di controllo esercitata dal sistema sull’individuo. Un luogo dove la mente deve essere dominata ed eventualmente curata o annientata. Perché tutto vada bene occorre solo rispettare le regole e prendere i farmaci prescritti. Le regole non possono essere cambiate perché non possono essere sbagliate. Non ci si può sottrarre, tutto è organizzato affinché l’individuo possa sentirsi rassicurato, spesso i ricoveri sono volontari. Le poche persone che si accorgono dell’inganno devono essere eliminate.  L’unica libertà è nel morire.

Eravamo giovani quando lo abbiamo visto per la prima volta nel programma di qualche cineforum. L’immagine di Capo Bromden che fugge verso le montagne dopo aver soffocato con un cuscino McMurphy, ormai lobotomizzato, affinché il suo spirito potesse liberarsi del corpo e seguirlo, ha accompagnato per molti anni i nostri sogni di ribellione e di libertà.

Non ci è quindi parso strano se a presentare questo film, proiettato in Piazza Maggiore, ci fosse qualcuno mosso da un analogo impulso di ribellione.  Sul palco è salito il produttore Paul Zaentz, nipote di Saul Zaentz che insieme a Michael Douglas produsse Qualcuno volò sul nido del cuculo, ma anziché presentare il film, ha lanciato un appello agli uomini di buona volontà del mondo ancora libero, affinché possano aiutare gli Stati Uniti. “Stiamo precipitando in un baratro, abbiamo toccato il punto più basso della nostra storia…. Trump è un bugiardo e un truffatore che ignora le regole della democrazia e agisce per il suo interesse……ce ne libereremo, abbiate fiducia, ma non lasciateci soli”.

Il pubblico ha risposto con una lunga ovazione.

 

Sholay – Director’s Cut (Cinder) di Ramesh Sippy un film indiano del 1975 della durata di 204’, un “curry western” e quindi molto più di uno spaghetti western. Per avere un “curry western” devi shakerare uno spaghetti western con un po’ di poliziottesco alla Milian, aggiungere danze e canzoni, un personaggio femminile che ricordi la Bersagliera ma molto più colorata e alla guida di un calesse e non a dorso di un mulo, e un incredibile e inedito super eroe privato dell’uso delle braccia.

Un film straordinario, nel senso di totalmente fuori dell’ordinario. Richiese due anni e mezzo di lavorazione. Terminate le riprese la censura impose di cambiare il finale perché ritenuto troppo duro. Nelle prime dieci settimane di programmazione il film fu un flop, stroncato dal pubblico e dalla critica. Poi la sua straordinaria vitalità si impose, divenne un successo clamoroso e per diciannove anni fu il film con il maggior incasso. Un cinema di Mumbai lo programmò ininterrottamente per cinque anni. Nella versione restaurata presentata in Piazza Maggiore è stato reinserito il finale originale che il pubblico ha potuto vedere in anteprima mondiale.

 

Saint Joan (Santa Giovanna) del 1957 diretto da Otto Preminger con Jean Seberg nei panni di Giovanna d’Arco e Richard Widmark in quelli di Carlo VII.

Tratto dalla omonima pièce di George Bernard Shaw e sceneggiato da Graham Greene, è un film molto originale che il pubblico non comprese e la critica non amò. Preminger trasforma un dramma storico dal respiro universale, in un’opera intimista divertente e ironica, grazie anche all’interpretazione di Jean Seberg che dà a Giovanna una carica di sensualità, entusiasmo e spontaneità che la allontana dall’iconografia classica. Nei panni del Delfino e quindi di re Carlo VII,  un insolito Richard Widmark ne accentua la vanità e l’assoluta assenza di coraggio facendone una figura decisamente meschina. Una commedia divertente, nonostante il rogo.

 

 

 

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