Piero Pruzzo e gli anni del Film Club

E’ mancato Piero Pruzzo (1927-2022), a lungo critico cinematografico sul Secolo XIX e tante altre testate, autore di libri sull’amato musical, su Amedeo Nazzari, sulla storia del cinema Sivori di Genova.  Nel 1993 ha fondato insieme a Riccardo Speciale la rivista “Filmdoc”, che ha poi diretto per quasi vent’anni. Vogliamo qui ricordarlo attraverso la sua testimonianza sul periodo del FilmClub e del Pathé Baby nella Genova del dopoguerra, pubblicata nel volume Cinema di qualità, edito nel 2018 da Agis Liguria e Il Melangolo.

I primi germi di quell’associazionismo cinematografico che porterà ai Film Club e ai cineforum del dopoguerra si hanno a mio parere all’inizio degli anni Trenta, quando l’Associazione Fotografica, fondata nel 1928 e con sede in via Banchi, istituisce al suo interno un Cinegruppo, allargandosi così dall’immagine fotografica fissa a quella in movimento. La sua attività consiste nel realizzare produzioni amatoriali di finzione e documentaristiche, ma so che lì avevano un proiettore della Pathé Baby, che era arrivata alla fine degli anni ’20 e contava su un grosso repertorio basato su quello della Pathé francese. Come resa nella proiezione su grande schermo, il 9.5 del Pathé Baby era più simile al 16 mm. che all’8mm. o al successivo Super8, per cui nel corso degli anni ’30 era molto utilizzato per noleggi di film sia nei cinema dei dopolavori sia in quelli parrocchiali. A Genova ne possedeva l’esclusiva il cav.Mario Agosto, che aveva un negozio nell’attuale via XXV aprile e alla fine della guerra mise in vendita le pellicole Pathé Baby rimastegli: ne acquistai alcune anch’io. Del resto, si continuava a utilizzarle ancora nel dopoguerra, ormai solo in ambito associazionistico, anche perché si trattava di film quasi tutti scorciati, ridotti a poco più di un’ora. Inoltre, erano pellicole mute: gran parte del repertorio Pathé Baby risaliva peraltro all’epoca del muto, ma tra i titoli distribuiti c’erano anche film del periodo sonoro, in cui si cercava di ovviare alla mancanza del sonoro inserendo cartelli con le didascalie oppure ricorrendo a sottotitoli per indicare i dialoghi. Ancora nel dopoguerra, Metropolis di Fritz Lang lo si poteva vedere solo nella copia della Pathé Baby, che era appunto ridotta a circa un’ora e dieci, e anche L’Angelo azzurro circolò per anni nella versione 9.5.

E’ forse difficile in un’epoca di internet, dvd, televisioni, film tranquillamente presenti in rete, capire quanto all’epoca il problema maggiore fosse invece riuscire a scovare la copia di un film per poterla proiettare. Negli anni ’30 il Pathé Baby era lo strumento principale per conoscere la storia del cinema: al Cinegruppo dell’Associazione Fotografica lo utilizzavano sicuramente. Per quanto riguarda la reperibilità dei film usciti dal circuito principale, ricordo anche che a Dinegro, in via Lazzaro Gagliardo, nei primi anni ’40 c’era un maestro che si chiamava Teppati e aveva un grosso deposito di vecchie pellicole a 35mm, sia mute che sonore, e le noleggiava per lo più ai parrocchiali: quando cominciarono i bombardamenti portò tutte le pellicole, all’epoca ancora infiammabili, in un sotterraneo sopra Villa Rosazza, finché nel dopoguerra arrivò Walter Alberti della Cineteca di Milano e se le comprò.

Dalla seconda metà degli anni ’30 s’impose l’attività del Cineguf genovese con le sue proiezioni nelle sale cinematografiche del centro, ma al termine del conflitto l’Associazione Fotografica riprese la sua attività nel campo del cinema, dimostrando subito un maggior respiro. Nella sua nuova sede di Salita S.Caterina, dove si era nel frattempo spostata da Banchi, si ritrovarono infatti i vecchi soci, insieme agli ex-giovani studenti del Cineguf e a nuovi appassionati: era in un portone sulla sinistra, vicino all’attuale cinema Sivori, e fu lì che cominciarono le proiezioni del nuovo Film Club dopo la fine della guerra.

Il 19 marzo 1946, il Film Club comincia ufficialmente la sua attività, a maggio si presenta alla città con una grande retrospettiva al cinema Palazzo, cioè il Sivori di oggi, ottenendo un enorme successo, al punto che l’esercente avrebbe voluto proseguire ulteriormente le proiezioni, ma non era possibile in quanto si trattava di copie provenienti dalla Cineteca Italiana di Milano, condizionate a un utilizzo senza scopo di lucro. Fino ad allora il Film Club era stato un fenomeno ristretto, quasi elitario, poco noto al di fuori della cerchia dei soci. Io stesso riuscii ad entrarci nel 1947 grazie all’amico Dodero che mi presentò e mi introdusse, proprio alla maniera di un “club”. Era un ambiente della buona borghesia genovese, con signore eleganti, imprenditori, commercianti. C’erano tra gli altri i fratelli Chierici, che avevano un negozio di fotografia e apparecchiature cinematografiche in via Cairoli, Chiarella che aveva negozi di scarpe in via XX settembre, Enrico Rossetti, Renzo Marignano, Carlo Bianco, Franco Sacco (che scriverà poi alcuni articoli sul Lavoro firmandosi S.Franco).

Attirò subito l’attenzione degli intellettuali genovesi dell’epoca. Uno dei personaggi già affermati era Enrico Ribulsi, che aveva lavorato a Roma come sceneggiatore, ad esempio per Il feroce Saladino, e che rivedemmo poi dopo alcuni anni in piccoli ruoli come attore: viveva al Plaza in una stanzetta con l’abbaino, arrivava alle proiezioni con una lunghissima sciarpa ed era un grande affabulatore. Ma anche Giulio Cesare Castello aveva già notevole prestigio, fin dai tempi del Cineguf. Era un critico di gusto, interessato sia al cinema sia al teatro: fu lui ad esempio a dirigere quella recita spettacolare del Saul di Alfieri in piazza Carignano, sulla scalinata davanti alla Basilica, con Memo Benassi, Gianni Santuccio, Lilla Brignone. Tra le altre cose, aveva un grande interesse per la commedia musicale, e fu uno dei primi in Italia a parlare seriamente di musical e di operetta, anche perché leggeva molte riviste francesi e inglesi, quindi poteva affrontare con cognizione critica terreni dove altri non osavano avventurarsi. Era sempre molto attento al cinema americano, ricordo su Ferrania un suo ottimo saggio sul film gangster, ma a Radio Genova fece anche un corso sul neorealismo, di cui mi è rimasto il libriccino pubblicato dalla ERI. Poi andò a Roma, diventando anche per qualche tempo direttore della rivista Cinema. Era un cosiddetto critico di gusto, ma in ogni suo intervento sapeva sempre cogliere gli aspetti più specificatamente cinematografici dei film.

Quando entrai a far parte del Film Club, le proiezioni si facevano ormai nel cinema parrocchiale della Consolazione (1946-47), perché la piccola sala dell’Associazione in salita S.Caterina non bastava più, e veniva usata solo per le proiezioni a passo ridotto, Pathé Baby, 16mm. ma anche 8mm. Nella stagione 1947-48, dopo il successo dell’organizzazione a Nervi del primo convegno nazionale dei circoli del cinema, il Film Club si trasferì nuovamente, perché era in continua crescita, aveva bisogno di una sala più ampia e passò così a proiettare al Postelegrafonici, futuro Dante d’essai. Le discussioni dopo il film erano appassionate e si prolungavano spesso fino a mezzanotte e mezza, quando bisognava lasciare la sala. Proprio il fatto che il Film Club si fosse sviluppato nell’ambiente della buona borghesia genovese provocò però la reazione di quei pochi esponenti che invece erano dichiaratamente legati al Pci e che volevano programmi e dibattiti – all’epoca si chiamavano “discussioni” – più apertamente schierati in senso politico: ne ricordo uno che a ogni dibattito interveniva dicendo “qui mi pare che il regista abbia trascurato l’aspetto sociale!”.

Da una scissione interna nasce così nel 1951 il Circolo Genovese del Cinema, che si collocava più “a sinistra”. La scissione rifletteva del resto una situazione più ampia a livello nazionale, perché dopo la nascita della Federazione dei Circoli del Cinema, che riuniva tutte le associazioni di quel tipo ma che nei suoi vertici nazionali era orientata a sinistra, era stata creata per contrapposizione l’UICC (Unione Italiana Circoli del Cinema), voluta dalle associazioni che intendevano difendere una critica “di gusto” in contrapposizione a quella più “ideologica”. E’ in quello stesso periodo, del resto, che Guido Artistarco si staccò dalla rivista “Cinema” per fondare, a sinistra, “Cinema Nuovo”.

La scissione genovese durò tuttavia ben poco: nel 1953 il Circolo del Cinema torna a unirsi al Film Club, ma ormai l’intero fenomeno sta esaurendosi. Alla fine del ’54 eravamo rimasti in pochi, ci riunivamo in una saletta di piazza S.Sabina, accanto al cinema Imperiale, per vedere film a passo ridotto: ricordo che qualche volta portavo il mio Pathé Baby e fu lì che proiettai Lo spione di Lang o il Faust di Murnau. Il Film Club era tornato alla dimensione da cui era partito, ma ormai per sciogliersi nel giro di poco tempo.

Nel frattempo erano però nate altre iniziative legate al cinema. Soprattutto, nel 1953 Padre Arpa aveva dato vita al cineforum dell’Arecco, attirando anche molti soci del Film Club e creando così il punto di riferimento più importante degli anni successivi. Ma, sempre all’inizio degli anni ’50, c’è da segnalare ad esempio l’iniziativa di padre Nazareno Fabretti, che invitava gli attori presenti a Genova per tournée teatrali nella Sala Frate Sole presso la chiesa della Nunziata, salendo verso piazza Bandiera. Era un altro segnale dell’allargamento dell’attenzione verso il cinema da parte del mondo religioso, anche se padre Fabretti era un personaggio poco allineato, molto aperto, di mentalità liberale, le cui iniziative non erano molto gradite dal cardinale Siri. Proprio per il suo interesse cinematografico, fu tra l’altro lui a celebrare il matrimonio di Roberto Chiti, collega e storico del cinema. Chiti curava sul “Sabato dello schermo” del Lavoro la rubrica “La Posta delle Pellicole”, dove rispondeva ai lettori: era un’iniziativa credo unica tra i quotidiani italiani, e io stesso l’ho conosciuto proprio scrivendogli. Lui mi rispose, e diventammo amici.

Nella sala di Frate Sole vi furono per anni incontri con attori, conferenze e dibattiti sul cinema. E fu lì che, all’inizio degli anni ’50, Claudio G. Fava e Claudio Bertieri inventarono uno dei primi tentativi di istituzionalizzazione dei generi cinematografici. Chiamarono quella serie di incontri “L’Artusi cinematografico”, spiegando ogni volta la “ricetta” di un genere attraverso l’uso di immagini fisse, fotografie di scena o inquadrature dei film.

La saletta di Santa Sabina che aveva ospitato gli ultimi incontri di Film Club fu in quegli stessi anni anche la sede delle prime iniziative di un nuovo organismo, il Centro Universitario Cinematografico, inizialmente guidato da un gruppo di giovani che non conoscevo, e che mi sembravano estranei al giro del Film Club. Tra le sue battaglie c’era in primo piano quella di far aprire all’università un corso di storia del cinema: e fu proprio con il C.U.C. che emerse come elemento propulsivo Bruno Torri, destinato poi a trasferirsi a Roma e a diventare molti anni dopo anche presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici per un lungo periodo. Il C.U.C. va avanti per qualche stagione nella sala dei Mutilati con programmi accademici, puntando molto sul cinema francese, mentre tra le numerose iniziative tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 ricordo anche proiezioni di film sovietici presso l’Associazione Italia-Urss, da via Edilio Raggio, alla Zecca, associazione che aveva anche una cineteca piuttosto ricca.

Con antichi amici dei tempi del Film Club ci si vedeva peraltro ormai anche nell’ambito dell’attività critica e giornalistica che molti di noi avevano intrapreso, da Tullio Cicciarelli a Mauro Manciotti, Roberto Chiti, Claudio G.Fava, Claudio Bertieri, cui cominciavano ad affiancarsi esponenti delle nuove generazioni. Dal 1963 al 1967 organizzavamo matinée al cinema Olimpia con i film di prima visione presentati da un critico che conduceva poi anche il dibattito: ricordo che una volta venne Ermanno Olmi a presentare Il posto. Proprio da quell’iniziativa derivò anche la nascita del Gruppo Ligure Critici Cinematografici, addirittura in anticipo sul Sindacato Nazionale. Nella designazione di chi doveva condurre ogni volta l’incontro ci fu infatti qualche malumore, per cui Claudio G.Fava propose, per fare chiarezza, di costituire ufficialmente un Gruppo Ligure che all’epoca era ancora Giornalisti Cinematografici, col quale poi passammo nel 1967 a programmare il Ritz, prima sala d’essai genovese: finché nel 1971 ci fu a livello nazionale la scissione che portò alla nascita di un Sindacato Critici Cinematografici contrapposto al sindacato generale dei giornalisti cinematografici. In Liguria, tranne rari casi come Angelo Maccario di Ventimiglia, aderimmo tutti al sindacato critici. Ma a questo punto, siamo ormai al ’68 e all’affermarsi dei cinéclub, un’epoca ormai completamente diversa.

(testimonianza di Piero Pruzzo, gennaio 2017)

 

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