LATITUDINE ITALIA – Una “Netflix di Stato”? Il portale della cultura italiana

di Guido Reverdito.

“L’idea era nell’aria. Si iniziavano a vedere musei o teatri che riaprivano online e gratis sui loro siti web. Fu allora che pensammo che un’unica piattaforma per valorizzare nel mondo l’offerta culturale italiana e in particolare gli spettacoli dal vivo era una opportunità enorme”. Così parlava lo scorso maggio il Ministro per i Beni Culturali Enrico Franceschini. In quell’Italia reduce da mesi di clausura forzata e con la spaventosa contabilità di contagi e decessi a farla da padrona nelle vite di tutti, la sua idea era quella di “creare un posto dove il pubblico possa trovare tutte le produzioni teatrali e musicali ma anche museali. E monetizzarle creando una fonte di ricavi aggiuntiva”.

Da allora si è fatto un gran parlare di questo grandioso progetto di un portale della cultura italiana che potesse mettere a disposizione a distanza di un vasto pubblico il meglio delle produzioni nazionali a livello di cinema, teatro, opera, danza ed eventi museali. Dopo mesi di sussurri e grida (molte di allarme soprattutto da parte di quei settori dell’intrattenimento dal vivo che manifestavano la giustificata preoccupazione di veder nascere un nuovo e insidioso concorrente potenzialmente capace di assestare un colpo definitivo a un settore già in affanno critico dai tempi del primo lockdown totale), nei giorni che hanno preceduto le vacanze natalizie la cortina fumosa che avvolgeva questa nuova e misteriosa creatura virtuale battente bandiera statale è stata finalmente dissipata da una serie di annunci ufficiali che hanno messo fine alla ridda di ipotesi più o meno allarmate e fantasiose andate avanti per mesi.

Il portale non ha ancora un nome (anche se chi si è spremuto le meningi per inventarlo lo ha definito “bellissimo” a priori). La fine di febbraio sarà la data dell’esordio ufficiale. Ma non si è potuto sapere granché né sul tipo di offerta che verrà messa a disposizione del pubblico di potenziali fruitori dalle poltrone di casa, né tantomeno sulle linee di produzione per cui si opterà a soprattutto sui limiti che verranno imposti per evitare che questo portale di fruizione virtuale del meglio della cultura italiana possa ulteriormente contribuire alla morte annunciata di quella dal vivo.

Quel che si sa per certo è la composizione della squadra. Ovvero di chi sosterrà finanziariamente l’impresa e chi garantirà invece la tecnologia e gli strumenti necessari sia per rendere disponibili i vari eventi messi in offerta che per venderli o noleggiarli in forma singola. Per quanto riguarda la società creata ad hoc, i componenti si sa già fin da novembre scorso che saranno questi: lo Stato fa la parte del leone con dieci milioni di euro versati dal Mibact una tantum a fondo perduto e con una somma grosso modo analoga messa a disposizione dalla Cassa Depositi e Prestiti cui andrà la prerogativa di essere l’azionista di maggioranza e di nominare gli amministratori societari. Accanto a questi colossi di Stato si è poi aggiunta Chili che ha contribuito con nove milioni di euro (sei dei quali per tutta la componente tecnologica che lo Stato avrebbe dovuto mettere in piedi ex novo senza un tipo di partner di questo genere, e tre da versare in contanti all’atto della creazione della società).

Ma come mai la scelta è andata su una start-up che opera nel settore della vendita di servizi di intrattenimento in abbonamento e che da sette anni chiude i bilanci in perdita (pur avendo però ormai raggiunto il non trascurabile numero di quasi cinque milioni di sottoscrizioni e potendo contare su un catalogo di quasi cinquantamila film, ovvero uno dei più ampi esistenti sull’intero mercato della visione on demand)? Per rispondere a questo quesito, che in molti osservatori del settore ritengono essere uno dei nodi cruciali dell’intera operazione con anche qualche inevitabile zona grigia a livello di criteri di scelta su cui sarà necessario fare luce in futuro, occorre fare un passo indietro per cercare di capire come mai la scelta del Mibact sia caduta proprio su questo operatore e non su altri attori del settore.

Come detto, l’idea venne lanciata dal Ministro Franceschini a maggio. Divenuta parte integrante del Decreto Rilancio varato dal Governo Conte nello stesso mese, il primo nodo da risolvere apparve subito quello della piattaforma tecnologica su cui mettere in offerta i vari contenuti da creare. Inevitabile che la Rai venisse chiamata in causa. Anche perché l’esistenza di una struttura ampiamente rodata negli anni quale RaiPlay sembrava essere la soluzione più rapida e funzionale al problema. Pur mostrando sulle prime un inevitabile interesse per l’iniziativa (con la direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli indicata dai verti della TV di Stato come l’ideale punto di raccordo tra le forze in campo), a giugno la Rai frenò tirandosi prematuramente indietro. Per due ragioni evidenti: RaiPlay trasmette infatti solo eventi gratuiti e prodotti esclusivamente dalla Rai stessa, ma soprattutto non può contare su in sistema in grado di monetizzare gli eventi proposti nel proprio palinsesto.

Tre mesi dopo, nel pieno dell’estate delle timide riaperture di qualche sala e con eventi riproposti finalmente dal vivo, la Cassa Depositi e Prestiti pubblicò un bando per la ricerca di un partner tecnologico da affiancare nell’impresa. A rispondere furono in dodici operatori del settore e la Rai venne di nuovo invitata – invano però – a partecipare. In breve tempo la maggior parte di quanti avevano aderito si defilarono, convinti che il modello di business messo in piedi dal Mibact non avesse le caratteristiche necessarie per reggere all’urto di un mercato ormai saturo di troppi attori chiamati a dividersi la lucrosa torta dell’intrattenimento pay-per-view (ovvero quel che tecnicamente si chiama Transactional Video on Demand e che vede protagonisti colossi quali Apple Tv e Google Play) e quella dell’intrattenimento in abbonamento (e cioè Subscription Video on Demand con grossi calibri quali Netflix, Amazon Prime Video, Now TV, TIMVision e Infinity).

Morale della favola, la sola offerta rimasta in piedi fu quella di Chili, che di fatto il 9 dicembre scorso partecipò alla registrazione della nuova società insieme appunto a Mibact e Cdp. In molti si sono chiesti se Chili offra adeguate garanzie per il futuro. Nata come start-up nel 2012 su iniziativa di Stefano Parisi e Giorgio Tacchia (il primo attualmente azionista di minoranza senza però più alcun incarico societario, il secondo invece destinato a diventare amministratore delegato della creatura pensata e voluta dal Ministro Franceschini), Chili è oggi come oggi una società a maggioranza italiana che fa capo a un gruppo di gestione di fondi di investimento, con partecipazione di altri investitori e, anche se soltanto per un modesto 3-4%, di quattro delle principali major hollywoodiane (ovvero Viacom+Paramount, Sony Pictures, Warner Bros. e 20th Century Fox, che avranno comunque voce in capitolo a livello di contenuti e quindi su eventuali esiti positivi o negativi dell’intera impresa).

Chi ha storto il naso leggendo la notizia dell’ingresso di Chili in quello che è destinato a diventare un portale in cui il pubblico potrà accedere a eventi dal vivo pur standosene comodamente a casa propria, lo ha fatto dopo aver constatato che da sette anni Chili chiude i propri bilanci in rosso e non sembra che la tendenza possa invertirsi a breve giro di posta (non ostante i vertici dell’azienda si siano affrettati a comunicare che il bilancio di questo drammatico 2020 sarà finalmente in pareggio proprio grazie alle nuove modalità di fruizione da remoto che la clausura forzata ha incentivato in maniera massiccia).

A quanti hanno espresso motivate riserve circa l’ingresso di Chili hanno però fatto eco quelli che, tralasciando il fastidio della presenza di un attore privato in un’iniziativa che di fatto dipende finanziariamente sui soldi dei contribuenti, hanno rilevato l’innegabile serie di vantaggi che un partner di questo tipo potrà garantire. Ovvero non solo permettere che i vari eventi messi in offerta possano essere monetizzati nell’immediato, ma anche convertirsi in uno strumento tecnologicamente avanzato per vendere biglietti di eventi dal vivo e promuovere l’attività culturale del territorio attraverso operazioni di merchandising.

Le questioni al momento ancora aperte restano molte. Non ci sono cioè anticipazioni sul tipo di offerta che il portale presenterà. E anche se, come già detto in precedenza, verranno auto-imposti dei paletti per evitare che un’iniziativa di questo genere finisca con l’aumentare la voglia di stare a casa quando le restrizioni dovute alla pandemia si ridurranno progressivamente sempre di più permettendo così alle sale cinematografiche, ai teatri e alle sale da concerto di riaprire i battenti e fornire così di nuovo tradizionali forme di fruizione di eventi dal vivo. Una preoccupazione latente emersa anche in altre dichiarazioni da parte del Ministro: “C’è in giro una comprensibile diffidenza che nasce dal timore che lo streaming possa mortificare lo spettacolo dal vivo, con il pubblico in sala, che invece resta centrale. Qui invece si tratta di creare uno strumento utile il prossimo anno quando magari le riaperture saranno a capienza ridotta per la pandemia, ma che resterà per sempre come fonte di ricavo aggiuntivo”

Viste le molte zone d’ombra ancora esistenti sull’intero progetto, al momento sembra difficile poter capire all’atto pratico che tipo di impatto potrà avere sull’intero settore dell’intrattenimento in presenza una struttura come quella pensata dal Mibact: poco prima di Natale, convinto dell’enorme potenzialità di quanto appena messo a punto, il Ministro Franceschini si è rivolto a numerosi colleghi europei invitandoli a riflettere sul tipo di opportunità che potrà rappresentare un portale culturale come quello pensato da lui e dai suoi collaboratori. Soprattutto se esteso a livello continentale e magari convertito in qualcosa di più grande ancora e aperto a tutti i paesi che vorranno contribuire all’iniziativa, garantendo così all’Europa la necessaria potenza di fuoco per affrontare unita la battaglia contro i giganti della rete.

 

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