“Woman in the Dark” (1934) di Phil Rosen

di Renato Venturelli.

Quando si parla di film tratti da Dashiell Hammett nel corso degli anni ’30, prima cioè del Mistero del falco (1941) di John Huston, ci si limita solitamente a tre esempi: la prima versione del Falcone maltese diretta nel 1931 da Roy Del Ruth, quella in chiave brillante del 1936 con Bette Davis (Satan Met a Lady, di William Dieterle) e la serie dell’Uomo ombra, avviata col grande successo del 1934 diretto da W.S.Van Dyke.

E’ stato invece a lungo tralasciato The Woman in Dark (1934), una piccola produzione distribuita dalla Rko e tratta a sua volta da un altro testo “oscuro” di Hammett: appunto The Woman in Dark, una novelette pubblicata a puntate sulla rivista “Liberty” nel 1933, quando lo scrittore stava terminando L’uomo ombra, e poi ripresa in volume solo molti anni più tardi, nel 1951, insieme ad altri racconti.

Il testo letterario è stato anche al centro di un paio di casi. Prima, perché fu l’ultimo libro di Hammett pubblicato con lo scrittore ancora in vita (morirà dieci anni dopo, nel 1961), in quanto proprio in quel famigerato 1951 venne travolto dalla caccia alle streghe maccartista, incarcerato, bandito da Hollywood, estromesso anche dalle trasmissioni radiofoniche. Poi, perché nel 1988 il racconto fu riscoperto e ristampato in un volume a sé: negli Stati Uniti con una prefazione del giallista Robert B. Parker, in Italia in un’edizione Longanesi che si proponeva come “prima edizione mondiale in volume”.

Il racconto prende il via con una donna che corre, incespica, cade, prosegue nella sua fuga con l’abito strappato, un tacco rotto, una gamba ferita: fino a rifugiarsi in una casa lungo la strada, dove incontra un pregiudicato appena uscito di prigione, un tipico eroe hardboiled dalla morale integra ma dalla vita movimentata, che verrà trascinato dalla protagonista in una serie di guai.

Sullo schermo, questo bell’incipit viene preceduto dalle scene in cui l’uomo (Brazil nel libro, Bradley nel film) esce di prigione, torna nella sua città e rivede una ragazza del posto. Solo a quel punto irrompe la donna del titolo, in una delle sequenze visivamente più ad effetto del film: un’apparizione tutta vestita di bianco, che affiora col suo elegante abito da sera e i tacchi alti in mezzo al buio assoluto di un bosco notturno, cade, riprende faticosamente a correre e trova riparo nella modesta casetta dell’ex-carcerato.

La prima parte del racconto si svolgerà in quell’interno, dove fa irruzione l’amante ricco e prepotente della donna, un cane viene bruscamente ucciso con un colpo di pistola e l’eroe hardboiled Brazil/Bradley colpisce con un pugno il colpevole, riducendolo in fin di vita. La seconda parte sarà poi dedicata alla fuga on the road dei due protagonisti, i cui volti vengono a lungo illuminati in modo da affiorare dal buio delle strade notturne; e il terzo atto prende il via con l’arrivo presso la casa di un ex-compagno di prigione, con qualche dettaglio comico e una polizia tranquillamente asservita ai potenti. La consueta fuga dei due amanti – il cui rapporto si sviluppa però solo a poco a poco, in un clima sentimentalmente molto asciutto – diventa così il detonatore di ingiustizie e sopraffazioni sociali, con la donna senza mezzi costretta ad accettare la relazione con un ricco prepotente, e il pregiudicato costantemente a rischio di essere riportato in prigione.

Nel racconto di Hammett, addirittura, la donna si offre a Brazil in modo molto disincantato: “Sono quel che sono, ma pago sempre i miei debiti (…) L’ho cacciata io in questo pasticcio. Bene, se ora può usarmi in qualche modo…”. E Brazil ricambia con altrettanta freddezza: “Per un attimo le fu molto vicino, guardandola con occhi che valutavano la sua bellezza con la stessa indifferenza che se fosse inanimata. Poi, brusco, le buttò il capo all’indietro e la baciò. Da parte sua, lei non disse niente, si sottomise completamente alle sue carezze, e quando lui la lasciò andare e fece un passo indietro, il suo viso era impassibile, una maschera, come quello di lui”.

Nel film, la durezza hammettiana risulta inevitabilmente attenuata, ma non cancellata. Dietro il prodotto convenzionale e un po’ tirato via, molto “B”, resta la rappresentazione di una società in cui gli individui sono isolati e costretti a lottare per la loro sopravvivenza, cercando di mantenere una precaria dignità.

Del resto, si tratta di una produzione a basso costo di una compagnia minore, Select Pictures, girata in pochi giorni a New York negli storici studi della Biograph, distribuita poi dalla Rko senza ottenere molte attenzioni. Va però detto che il cast è di buon livello, con Faye Wray nella parte della “woman in dark”, Ralph Bellamy in quella di Brazil, Melvyn Douglas come amante ricco e prepotente. Le premesse per farne un piccolo pre-noir hardboiled c’erano: a mancare è poi uno stile noir, l’intenzione e la capacità di fare di quest’avventura criminale un autentico percorso nell’incubo di una società corrotta e di esistenze forzatamente precarie, sempre sospese su quel buio da cui affiorano per esserne poi nuovamente inghiottite.

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