“La balena di piazza Savoia” di Leopoldo Santovincenzo

“Letteratura come itinerario nel meraviglioso” era il titolo di un libro di Angelo Maria Ripellino, uscito sul finire degli anni ’60 per l’Einaudi verde. L’idea di cinema come itinerario nel meraviglioso sembra sostenere adesso questo volume di Leopoldo Santovincenzo, dal titolo misterioso ed evocativo “La balena di piazza Savoia – L’immaginario che avevamo in dote” (ed.Exorma, 286 pp, 2017, euro 16,50). La balena di cui si parla è esistita davvero e per vent’anni fece il giro non solo dell’Italia, ma dell’intera Europa, sconfinando anche oltre cortina, in Turchia e in Israele, piazzandosi nelle piazze principali di città e paesi, attirando bambini e curiosi con il suo odore di formalina, la sua memoria di avventure esotiche, il suo impatto gigantesco e logoro da circo di provincia.

Il libro di Santovincenzo parte dal vago ricordo infantile del cetaceo esibita sulla piazza di Campobasso per ricostruire l’autentica vicenda della balena Goliath e del suo viaggio durato un quarto di secolo. Ma quella balena imbalsamata viene ben presto a sovrapporsi ad altri ricordi infantili e adolescenziali dell’epoca, perché l’ingresso nel ventre della balena corrisponde anche alla scoperta della sala cinematografica, dei film visti magari in solitudine nei promeriggi estivi, delle promesse di straordinarie avventure evocate dai “prossimamente”, delle famose “liste” che ciascuno compliava elencando i film visti o quelli desiderati.

E mentre contrappunta i suoi ricordi con flash sulla balena Goliath, Santovincenzo – che lavora in Rai dai primi anni ’90, e tra le altre cose ha ideato e realizzato il magazine Wonderland, oltre a programmare i film di Rai4 – ripercorre la propria autobiografia di accanito cinefago anni ’70, quando ancora non esistevano né internet né le videocassette, e i film bisognava obbligatoriamente vederli là, sul grande schermo delle sale cinematografiche, a volte gigantesche, spesso fatiscenti, a meno di inventarsi proiezioni casalinghe attraverso l’altrettando avventuroso mercato dei super8.

Chi ha vissuto quel tipo di formazione cinefila costuisce ormai veramente un mondo a parte, perché è cresciuto secondo l’idea di un cinema che è innanzitutto stupore e meraviglia, viaggio nel ventre della balena, epica novecentesca cresciuta alle sue origini nell’humus dei baracconi da fiera e completamente diversa da tutte le altre arti.

Il libro ci introduce a questo percorso nell’immaginario, che è apparentemente condotto in modo libero sul filo della memoria e delle associazioni mentali, ma ha in realtà una struttura di fondo molto salda. E in mezzo ad aneddoti autobiografici esteriormente svagati infila osservazioni puntuali e acute sul cinema e le sue icone, spaziando da Charles Bronson a Bruce Lee, da Franco & Ciccio ai mille rivoli delle produzioni “B” dell’epoca. Finché nel 1979 accade “qualcosa di strano, come un vento gelido che s’insinua nelle sale cinematografiche italiane. Le commedie non fanno più ridere, i polizieschi, funestati da inseguimenti noiosi e ripetitivi, sembrano quasi telefilm, gli horror non mettono più paura, i western sono finiti”. Un’epoca del cinema, o forse dell’Italia, stava finendo. Le videocassette stavano arrivando. Le sale cinematografiche stavano cominciando a chiudere in massa, nei quartieri, nelle periferie, nei paesi. E la balena Goliath era sparita nel nulla da un paio d’anni.

 

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