“Le guerre horrende” di Luca Immesi e Giulia Brazzale

di Antonella Pina.

L’aggettivo horrendo era in uso nel ‘500. Un elenco delle guerre italiane pubblicato a Venezia nel 1534 aveva come titolo: Guerre horrende de Italia. Tutte le guerre de Italia, comenzando dala venuta di re Carlo del mille quatrocento novantaquatro, fin al giorno presente. Horrendo aveva anche il significato di grandi e terribili.  Le guerre horrende è il lungometraggio di Luca Immesi e Giulia Brazzale. Liberamente tratto dalla pièce teatrale Le guerre orrende di Pino Costalunga del 1997, racconta le guerre italiane del secolo scorso, mescolando personaggi e ricordi della prima e della seconda guerra mondiale, come se non ci fosse distinzione tra l’una e l’altra perché, come spiegano gli autori, “tutte le guerre sono capaci di appiattire vicende ed umanità in una melma devastante”.

I protagonisti della storia sono il Capitano, lo Scudiero e il Soldato, interpretati da Livio Pacella, Désirée Giorgetti e Dario Leone.  Il Capitano e lo Scudiero vivono in una foresta incantata al di fuori del tempo mettendo in scena per tutte le creature del bosco racconti di grandi battaglie tra mosche e formiche. Un giorno, calandosi dal cielo con un paracadute, entra in scena un uomo con un’uniforme: il Soldato. Il Capitano, prima ancora della divisa, teme il fatto che si tratti di un essere umano: degli esseri umani occorre diffidare, non portano che rovina e distruzione. E così è. Il Soldato rompe l’incantesimo e induce il Capitano a rievocare i terribili ricordi delle guerre. Attraverso immagini forti e poesie, i fantasmi del passato tornano a vivere. C’è qualcosa dei fratelli Taviani e qualcosa di Olmi, anche se il contenuto della storia si discosta da entrambi.

Il Capitano era uno dei ragazzi del ’99 ed era anche un partigiano innamorato di Maria. Lo Scudiero era Maria: amava il Capitano ma, avendolo creduto morto, per paura di restare sola sposa un fascista. Il Soldato era il fascista: un uomo prepotente che ama, ricambiato, Maria. Quando il Capitano fa ritorno a casa – sopravvissuto agli orrori della guerra e al senso di colpa per aver causato la morte di trenta civili, fucilati per rappresaglia dopo l’uccisione di tre soldati tedeschi – uccide il fascista, Maria e se stesso. “L’idea fondante del nostro film è che le guerre e la violenza, siano solo il frutto del personale conflitto che giace irrisolto nel microcosmo che è in ognuno di noi”.

Il film soffre un po’ troppo l’impostazione teatrale del racconto. Inoltre, in questa fiaba crudele in cui tutte le battaglie si confondono, quelle immaginarie e quelle vere, i contorni netti che hanno sempre delineato il nemico, consentendoci di poterlo facilmente riconoscere, sono forse un po’ troppo sfumati.

Durante la Mostra del Cinema di Venezia 2016, il  progetto del film, ancora inedito, ha ricevuto il Leone di vetro: un premio indipendente che mira a valorizzare i professionisti veneti dell’audiovisivo.

Postato in Recensioni.

I commenti sono chiusi.