“Molly’s Game” di Aaron Sorkin

di Aldo Viganò.

Ebreo di nascita ed ex aspirante attore, commediografo di successo (suo il testo teatrale da cui egli stesso ha tratto la sceneggiatura di «Codice d’onore») e “script doctor” di molti film (si dice che abbia messo le mani anche su «Schindler’s List»), sceneggiatore molto amato dai divi di Hollywood,  il sessantasettenne Aaron Sorkin esordisce dietro la cinepresa con un film tratto dalle memorie di una intraprendente ragazza (oggi quarantenne) che porta orgogliosamente il nome della moglie del protagonista dell’«Ulisse» di James Joyce e che, dopo di essere stata come suo fratello una campionessa dello sci statunitense, seppe inventarsi un lavoro milionario, gestito sempre al limite della legalità: quello della organizzatrice di partite a poker per divi del cinema, tycoon della finanza e ricchi avventurieri, ma anche per temibili rappresentanti della mafia russa e qualche giocatore professionista.

Strutturato come un racconto biografico che si svolge però liberamente intrecciando più piani temporali (il presente giudiziario, il passato avventuroso e il remoto impegno sportivo) e che si articola cinematograficamente alternando sequenze dal montaggio frenetico (soprattutto quelle iniziali) ad altre dal ritmo più riflessivo (i dialoghi con l’avvocato e con la controparte governativa nelle varie fasi del processo), «Molly’s Game» è un film che sfida continuamente l’eccesso, sino al rischio di diventare pleonastico e ripetitivo; ma che, pur con tutti i suoi evidenti limiti letterari (tra questi soprattutto l’onnipresente voce fuori campo), riesce a essere anche un’opera molto personale, capace di far vivere “alla grande” sullo schermo una storia privata e in fin dei conti “piccola” almeno nelle sue motivazioni personali (i rapporti della protagonista con il padre) e nella stessa soluzione dell’intrigo poliziesco e tribunalizio.

Arrestata dall’Fbi con l’accusa di aver incassato dalle partite organizzate qualche percentuale (unica cosa vietata dalla legge americana e solo per un breve periodo trasgredita dalla protagonista), Molly Bloom (una Jessica Chastain dalla recitazione molto efficace) racconta allo spettatore (ma solo in parte al proprio avvocato e al procuratore distrettuale) la propria vita. La carriera sciistica, voluta dal padre psicologo di professione (buona prova attoriale di Kevin Costner), messa in forse dalla scogliosi e stroncata da una brutta caduta in gara. La ricerca di un lavoro corrispondente alla sua naturale vocazione di primeggiare. L’incontro con il mondo del poker occasionalmente favorito dal suo primo datore d’impiego. L’ingresso nel giro delle partite con migliaia di dollari sul tavolo verde, sino a meritare il sopranome di “la principessa del poker”. Poi, la ricchezza e la droga, con la conseguente violenza della mafia. La perdita dei soldi sequestrati dall’Fbi e la pubblicazione di un libro di memorie. Infine, l’iter giudiziario affrontato con l’appoggio di un valente e molto caro avvocato di colore (Idris Elba).

Il tutto, come si diceva, articolato cinematograficamente con agilità di linguaggio e con uno stile che a tratti forse ricorda quello di Martin Scorsese, ma che è continuamente alla ricerca di una propria originalità.

Nel corso di due ore e venti di proiezione, dalle quali – cosa oggi sempre più rara – sono completamente assenti le scene di sesso, forse non sempre gli esiti riescono a essere corrispondenti alle intenzioni. Ogni tanto, infatti, il racconto tende a ingolfarsi nella ripetizioni e soprattutto accade che i personaggi di contorno non riescono ad assumere quell’autonomo spessore, che pur promettevano. Comunque, anche queste acerbità da “opera prima” non impediscono a «Molly’s Game» di conservare sino in fondo un proprio interessante fascino: ben sorretto certamente dalle invenzioni della sceneggiatura e dalla buona prova degli interpreti, ma anche dalla forza pur un po’ ridondante di una regia capace di dar loro consistenza visiva, ritmo e dinamicità espressiva.

Tutte qualità, queste, che riescono, infine, a garantire la possibilità di uscire dalla visione di questa ricca e ben articolata storia dell’ascesa e caduta di una ragazza che non si arrende mai, non solo soddisfatti, ma anche con la convinzione che è questa la via giusta per permettere al cinema del terzo millennio di ritrovare con piena legittimità se stesso e la propria migliore tradizione.

 

 

MOLLY’S GAME

(Molly’s Game,  USA – 2017) regia e sceneggiatura: Aaron Sorkin – soggetto: dalle memorie di Molly Bloom – fotografia: Charlotte Bruus Christensen – musica: Daniel Pemberton – montaggio: David Rosenbloom. interpreti e personaggi: Jessica Chastain (Molly Bloom), Idris Elba (Charlie Jaffey), Kevin Costner (Larry Bloom), Michael Cera (Player X), Brian D’Arcy James (Brad), Jeremy Strong (Dean Keith), Graham Greene (giudice Foxman), Samantha Isler (Molly adolescente). distribuzione: 01 Distribution – durata: due ore e 20 minuti

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