“The Post” di Steven Spielberg

di Aldo Viganò.

“The Post” s’inserisce con orgoglio nella tradizione civile del cinema hollywoodiano in gloria del giornalismo (da “L’ultima minaccia” di Richard Brooks a “Tutti gli uomini del presidente” di Alan Pakula), ma appartiene di diritto anche a quel filone della filmografia di Steven Spielberg che indaga sui passaggi fondamentali della Storia (non solo americana): da “Amistad” a “Lincoln”, da “Schindler’s List” sino a “Il ponte delle spie”.

È questo un cinema “impegnato” e coniugato al passato che Spielberg sa però reinventare da autore moderno e gestire con la funzionale efficienza di un regista classico, mettendo il proprio stile al servizio della storia raccontata.

Puntualmente questo accade anche in “The Post”, dove si narra la ormai storica vicenda di come, nel 1971, il “Washington Post” diretto da Ben Bradlee scelse vittoriosamente di sfidare il governo degli Stati Uniti presieduto da Richard Nixon, pubblicando contro la sua diffida (con la quale aveva già intimorito il “New York Times”) i documenti che provavano come l’amministrazione pubblica – sin dai tempi di Truman, Eisenhover, Kennedy e Johnson – avesse costantemente mentito agli americani sui veri motivi delle ultime guerre in Estremo Oriente e in particolare su quella del Vietnam, allora oggetto di clamorose manifestazioni di piazza.

Con il fragore di un elicottero in volo si apre (come in “Apocalypse Now”) la breve sequenza bellica nella jungla vietnamita che fa da prologo anche al film di Spielberg. Ben presto, però, l’attenzione del regista si sposta sui protagonisti della vicenda storica evocata e messa implicitamente a confronto con la realtà contemporanea non solo degli Stati Uniti. Ne consegue che i protagonisti assoluti del film diventano non solo i fatti testimonianti, ma anche i personaggi che danno loro vita: cioè, il direttore del “Washington Post”, interpretato con la consueta efficienza “underplaying” da Tom Hanks, e la proprietaria del giornale Katharine Graham (Meryl Streep), che lo ha ereditato dal padre e ne ha avuto la piena responsabilità dopo il suicidio del marito.

Ben Bradlee è un giornalista vecchio stampo che crede nella propria funzione etico-culturale e che è disposto a correre qualsiasi rischio pur di esserle fedele. Mentre la Graham non deve fare solo i conti con un Consiglio di amministrazione molto prudente, ma anche con il proprio stato sociale, che l’ha vista per anni a contatto confidenziale con i Presidenti prima di Nixon e soprattutto la vede ancora amica personale di Robert McNamara, che negli anni Sessanta era stato ministro della difesa per i governi di Kennedy e di Johnson.

Il nodo della vicenda è tutto qui. Che fare dei documenti arrivati quasi per caso nelle loro mani? Intorno a questa domanda Spielberg costruisce la parte migliore del suo film, caratterizzandolo con un complesso intreccio di movimenti della cinepresa, con i quali costruisce un efficace crescendo emotivo, che getta lo spettatore in “medias res” e restituisce con funzionalità i dubbi e le incertezze personali e culturali, cui la recitazione degli ottimi interpreti garantisce una coinvolgente tensione.

Tra il ticchettio della macchine per scrivere e il ronzio delle rotative, si costruisce in questo modo con fluidità sul grande schermo un film che forse risulta meno personale di altre opere di Spielberg, ma è comunque sempre capace di testimoniare la positiva valenza di un cinema classico nel quale la costruzione delle immagini determina il senso degli avvenimenti e la storia raccontata si rispecchia compiutamente nel ritmo e nella sapiente organizzazione delle inquadrature e delle sequenze.

Con il risultato che tutto questo contribuisce ancora una volta ad avvalorare che l’autore di “The Post” è a pieno diritto uno dei pochi, ultimi eredi di una tradizione narrativa e stilistica che sa coniugare l’estetica con l’etica, la precisione del racconto con la sua valenza comunicativa; proponendo, cioè, un cinema narrativo e civile, sempre capace di trascendere le contingenze storiche e temporali della cronaca pur chiaramente evocata, e ricostruirla nell’autonomia del linguaggio delle immagini.

 

THE POST

(The Post – USA – 2017)  Regia: Steven Spielberg – sceneggiatura: Liz Hannah e Josh Singer – fotografia: Januz Kaminski – musica: John Williams – Scenografia: Rick Carter – costumi: Ann Roth – montaggio: Michael Kahn e Sarah Broshar. Interpreti e personaggi:  Meryl Streep (Kay Graham), Tom Hanks (Ben Bradlee), Sarah Paulson (Tony Bradlee), Bob Odenkirk (Ben Bagdikian), Tracy Letts (Paul Ignatius), Bradley Whitford (Fritz Beebe), Bruce Greenwood (Robert McNamara), Matthew Rhys (Howard Simons), Alison Brie (Lally Weymouth) – Distribuzione: 01 Distribution – durata: un’ora e 55 minuti

 

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