“La tenerezza” di Gianni Amelio

di Aldo Viganò

Muovendosi sempre più a proprio agio tra letteratura e “cinefilia”, Gianni Amelio firma con La tenerezza un film intimo e molto personale, nel quale si possono leggere anche suggestioni quasi autobiografiche.

Per il ruolo del protagonista, il regista ritrova qui Renato Carpentieri che, dopo una pregevole (e mai interrotta) carriera teatrale, aveva con lui esordito nel cinema in Porte aperte. E alla maschera intensa dell’attore affida il personaggio di un vecchio avvocato napoletano, dal passato non proprio adamantino (“Non si può essere insieme onesti e avvocati” afferma qualcuno nel film), affiancandogli un cast di prima qualità, composto non solo di bambini (da Amelio sempre ben diretti), ma anche di interpreti capaci di dare vita a esseri umani credibili, che non abbiano bisogno di troppe spiegazioni per esistere sul grande schermo, ma basti loro la forza delle recitazione unita a quella delle immagini per risultare “veri”. Pur nella loro complessità.

Ne consegue così che La tenerezza è innanzitutto un film di personaggi, di esseri viventi ben definiti nei loro reciproci rapporti e nel loro agire in modo concreto nel contesto di una città, Napoli, i cui affollati vicoli – ma anche le strade, i bar e le piazze – finiscono con l’assumere il ruolo di altri personaggi aggiunti.

L’avvocato Lorenzo (Carpentieri, appunto) è un vecchio vedovo che rivendica orgogliosamente la propria autosufficienza esistenziale. Abita in vecchio condominio senza ascensore; fa la spesa, cucina e stira senza l’aiuto di nessuno. Da anni, non parla più con i figli (Elena e Saverio), anche perché via via che essi diventavano adulti aveva scoperto di amarli sempre meno. Solo in segreto, Lorenzo compensa la sua senile inaffettività paterna andando a prendere a scuola, rigorosamente fuori orario, il nipotino, figlio senza padre di Elena che fa la traduttrice simultanea di arabo per il tribunale. Burbero e, solitario, Lorenzo sembra ignorare il dolore e la rabbia che il suo comportamento suscitano nella figlia (Giovanna Mezzogiorno)  e nel figlio (Saverio Muselli), ma non impiega molto tempo ad affezionarsi ad una svagata vicina di casa (Micaela Ramazzotti), giunta a Napoli dal nord Italia in compagnia di un marito fragile di nervi (Elio Germano) e di due figli piccoli.

Gianni Amelio descrive e racconta questo strano rapporto famigliare con molta delicatezza, lasciando però sempre aperta la sensazione di un pericolo imminente, suggerito sia dalla rappresentazione della città nella quale i personaggi si muovono e s’incontrano, sia dalla presenza nei loro rapporti d’inattesi silenzi e di pause allarmanti. Puntualmente, così, accade che la tragedia si manifesti. Tanto improvvisa quanto inaspettata, in una notte di pioggia battente. Quando, tornando a casa, Lorenzo vi trova tutto intorno i cordoni della polizia e scopre con sgomento che sul terrazzo accanto al suo vi sono tre cadaveri. Per motivi ignoti quanto incomprensibili, infatti, Germano ha sterminato la propria famiglia e poi ha rivolto la pistola contro di sé. I cadaveri che le forze dell’ordine stanno portando via sono quelli del vicino di casa e dei suoi due figli. Solo la Ramazzotti è sopravvissuta, ma giace in coma senza ritorno in un letto di ospedale. Per poterla assistere, a Lorenzo non resta altro che provare a farsi passare per suo padre.

Un rapporto famigliare, si diceva. Una storia privata, che l’adattamento del romanzo del giovane  Lorenzo Marone e la regia di Gianni Amelio concorrono a sospendere tra l’intimismo della cronaca esistenziale e il fiammeggiante divampare del melodramma. Ma, proprio per questa sua specifica componente cinematografica, La tenerezza è anche un film che sequenza dopo sequenza diventa sempre più complesso, caricandosi di un sottotesto dalle valenze insieme tragiche e autobiografiche; ben assecondato in questo da tutti gli interpreti, ai quali nel corso della narrazione si aggiungono anche, con due potenti “a solo”, Greta Scacchi, nel ruolo giustamente un po’ misterioso della madre dell’assassino-suicida dai modi tanto gentili, e Maria Nazionale, che è l’amante abbandonata da Lorenzo senza spiegazione alcuna, forse prima che la moglie lo potesse scoprire per qualche spiata  come quella di cui ora Lorenzo sospetta ingiustamente la figlia di essere stata la causa mortale.

Ed è proprio questa unità tra sentimenti privati e latenti passioni, la cui esplosione è in ogni momento imminente (anche in questo senso l’ambientazione napoletana è molto ben valorizzata), che fa di La tenerezza una delle opere più compiute e convincenti di Gianni Amelio.

Un film che sa essere insieme tenero come un’opera di Vittorio De Sica e malinconicamente tragico come una pellicola dell’ultimo Clint Eastwood. Comunque un film chiaramente firmato da Gianni Amelio, anche quando, soprattutto nella parte finale, la sua componente letteraria tende a diventare un po’ invadente, lasciando che le troppe parole prendano un poco il sopravvento sulla forza delle immagini, e che queste indulgano ad alcuni artifici stilistici e narrativi (ad esempio, l’ultima seduta in tribunale con la riapparizione di papà Lorenzo e la finta traduzione-confessione di Elena), che vogliono spiegare anche ciò che non si poteva né doveva spiegare, e che sembrano voler programmaticamente arrivare a quella sorta di happy end sintetizzato nell’omaggio “cinefilico” (la citazione di Ladri di biciclette è sin troppo evidente) di quella furtiva stretta di mano tra padre e figlia, sulla quale il film si conclude.

 

LA TENEREZZA

(Italia, 2017) Regia: Gianni Amelio – Soggetto: dal romanzo La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone – Sceneggiatura: Gianni Amelio e Alberto Taraglio –  Fotografia: Luca Bigazzi – Scenografia: Giancarlo Basili – Costumi: Maurizio Mellenotti – Montaggio: Simona Paggi. Interpreti: Renato Carpentieri (Lorenzo), Elio Germano (Fabio), Micaela Ramazzotti (Michela), Giovanna Mezzogiorno (Elena), Greta Scacchi (Aurora, madre di Fabio), Maurizio Muselli (Saverio), Maria Nazionale (Rossana). Distribuzione: 01 Distribution – Durata: un’ora e 43 minuti

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