“Loving” di Jeff Nichols

di Aldo Viganò.

“Loving” è il cognome della coppia protagonista del quinto lungometraggio diretto da Jeff Nichols (classe 1978), ma è anche un aggettivo e una forma verbale derivante da “love” (“amore”). E l’amore è di fatto il tema centrale del film, tratto da una storia vera ambientata tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, nella quale si racconta un episodio (a lieto fine) del difficile cammino verso la conquista della parità dei diritti civili tra bianchi e neri, negli Stati Uniti.

Sembra che sia stato Steven Spielberg a suggerire a Nichols di mettere in scena per il grande schermo questo storico caso giudiziario, noto come “Loving vs. Virginia”, che, portato sino davanti alla Corte Suprema, obbligò tutti gli Stati americani (e quindi anche la Virginia) a non più vietare i matrimoni tra bianchi e neri. Una vicenda emblematica, quindi, che poteva facilmente preludere a un film dimostrativo, nel quale fosse facile rispecchiarsi per esserne gratificati. Proprio come accade in tante fiction televisive.

Ma il non ancora quarantenne Jeff Nichols, autore di un pugno di film già apprezzati anche nei festival internazionali (basti citare Take Shelter o Mud), non è certo  un regista che ama le vie più semplici e, anche a costo di spiazzare lo spettatore, ecco che gli consegna un’opera cinematografica decisamente anomala, il cui vero interesse non sta in quello che dice e che è già di fatto dimostrato dalla Storia, ma risiede interamente in come lo dice, diventando così essenzialmente una questione di stile.

Pur sotteso da un tema carico di risonanza civile (un caso tanto emblematico da cambiare lo stesso dettato costituzionale), Loving resta un film che non si accontenta di illustrare un’ideologia  e la sua realizzazione storica, dimostrando più interesse per i personaggi che questa vicenda hanno vissuto, piuttosto che per il messaggio politico-sociale che essa evidentemente sottende. Ed è proprio su questo terreno che, come si diceva, l’arma vincente di Nichols si rivela essere soprattutto di carattere stilistico.

Attraverso l’uso di un cinema che rifiuta la declamazione e i toni fortemente drammatici, Nichols porta così sempre in primo piano gli esseri umani che, anche loro malgrado, si trovano a vivere quel cruciale momento storico. Non solo il bianco Richard, operaio edile di poche parole, e la nera Mildred, che sarà la madre dei suoi tre figli; ma anche tutti gli altri d’intorno: dallo sceriffo razzista al giudice della Contea che si crede interprete della volontà divina, dai parenti bianchi e neri agli avvocati messi in moto da Bob Kennedy in persona. Sono tutti costoro che esistono concretamente sullo schermo, senza bisogno di sottolineature da “scene madri”, ma caso mai con un esplicito gusto per il tono dimesso e la tendenza di concludere le singole sequenze senza bisogno di portarle al loro apice drammatico.

La programmatica assunzione di questo punto di vista “umanistico” fa sì che il film di Nichols sappia raccontare la storia “scandalosa” di una vicenda d’amore negata dalle forze dell’ordine e condannata dalla legge con venticinque anni d’esilio, in uno stile perfettamente consono al carattere taciturno di Richard e alla timidezza di Mildred.

E proprio per questo, cioè per scelta stilistica, accade che Loving cessi di essere solo il cognome dei protagonisti, ma diventi metaforicamente anche la testimonianza di un loro modo di guardare la vita e di praticarla con gesti quotidiani. E che, quasi paradossalmente, concentrandosi sempre di più sul comportamento degli esseri umani, il dramma da loro storicamente vissuto acquista valenza universale, identificandosi nel fare concreto del personaggi, che si esplicita compiutamente nei lavori domestici di Mildred come nello smontare e nel rimontare i motori della macchina di Richard o in quel suo quotidiano lavoro di assemblaggio e livellamento dei mattoni: ripetuto e insistito abbozzo di quella casa che egli sogna di costruire per la sua famiglia.

È per questa via  che Loving diventa così la testimonianza di un cinema civilmente impegnato, senza diventare retorico o perdere mai di vista gli esseri umani di cui sta parlando. Un cinema esteticamente sempre molto consapevole di sé, che, passando solo attraverso i propri personaggi, giunge anche a contrapporre la pericolosa frenesia urbana di Washington D.C. ai silenziosi campi lunghi sugli spazi aperti della Virginia, dove Mildred Loving vuole testardamente far crescere i propri figli. E questo attaccamento ai luoghi d’origine, lungi dal contenere in sé la reazionaria nostalgia del passato riesce a diventare nel film di Nichols la testimonianza vissuta di una autenticamente vissuta utopia esistenziale: in fin dei conti, non diversa da quella che rappresentava il motoscafo abbandonato sugli alberi dall’alluvione del Mississippi che, in Mud, Matthew McConaughey sognava di poter restituire al fiume e di farne il suo mezzo di fuga verso gli spazi aperti del mare.

  

LOVING

(Loving, USA-GB 2016) Regia e sceneggiatura: Jeff Nichols – Fotografia: Adam Stone – Musica: David Wingo – Scenografia: Chad Keith – Montaggio: Julie Monroe. Interpreti: Joe Edgerton (Richard Loving), Ruth Negga (Mildred Loving), Marton Csokas (sceriffo Brooks),  Nick Kroll (Bernie Cohen), Michael Shannon (Grey Villet), Terri Abney (Garnet Jeter), Alano  Miller (Raymond Green) Distribuzione: Cinema – Durata: due ore e 3 minuti

Postato in Recensioni di Aldo Viganò.

I commenti sono chiusi.