“La luce sugli oceani” di Derek Cianfrance

di Aldo Viganò.

Nel tempo dei blockbusters, o dei più esasperati effetti digitali, o delle storie che strizzano l’occhio a un pubblico fumettaro, sia il benvenuto anche un film dichiaratamente letterario ed esplicitamente “tradizionale” come questo La luce sugli oceani, firmato da un ex beniamino del Sundance Film Festival e già autore di Blue Valentine e Come un tuono.


di Aldo Viganò.

Nel tempo dei blockbusters, o dei più esasperati effetti digitali, o delle storie che strizzano l’occhio a un pubblico fumettaro, sia il benvenuto anche un film dichiaratamente letterario ed esplicitamente “tradizionale” come questo La luce sugli oceani, firmato da un ex beniamino del Sundance Film Festival e già autore di Blue Valentine e Come un tuono.

Inutile, ovviamente, ricercare nei fotogrammi di questo melodramma “d’antan”, ambientato in prevalenza negli anni Venti, il segno di un cinema che possa piacere ai cultori del cinema-cinema. Qui, le immagini che compongono le due ore e passa del film non sembrano tanto pensate e filmate per costruire loro tramite una specifica realtà cinematografica, perché hanno sempre la funzione primaria di illustrare un plot narrativo già dato e scritto in un altro linguaggio: nella fattispecie il racconto, in forma di romanzo, dell’autrice australiana M. L. Stedman.

Un racconto che si svolge sullo sfondo di un paesaggio suggestivo, del quale la cinepresa di Cianfrance va alla ricerca di un equivalente cinematografico, entro cui dare vita alla recitazione di attori e attrici ben disposti a identificarsi completamente con i loro personaggi, portatori dell’interrogativo che il regista vuole continuamente portare in primo piano, innescando una domanda direttamente rivolta agli spettatori: “Voi come vi sareste comportati al loro posto?”.

I protagonisti di questo melodramma, ambientato nell’estremo sud-ovest dell’Australia, sono Tom (Michael Fassbender) e Isabel (Alicia Vikander). Lui è uscito molto provato fisicamente e psicologicamente dagli anni della Grande Guerra e per questo ha accettato l’incarico, propostogli dal Commonwealth, di guardiano del faro su un’isola deserta. Lei s’innamora della sua melanconia, lo sposa e va a vivere con lui accanto a quel faro che fa luce ai naviganti di due oceani (quello indiano e quello antartico). È la scoperta dell’amore coniugale sullo sfondo di un paesaggio desolato: ma il felice idillio è turbato dal dolore per due aborti spontanei. L’ultimo dei quali avviene proprio quando, come per miracolo, il mare spinge sull’isola una scialuppa con a bordo il cadavere di un uomo e una neonata piangente. Tocca quindi a Isabel convincere Tom a seppellire in segreto il cadavere dello sconosciuto e a far passare la nuova venuta come loro figlia. Trascorrono quattro anni di vita felice. Sino a quando, però, lui scopre casualmente chi è la vera madre  della bambina (Rachel Weisz) e per Tom. dapprima, e poi anche per Isabel, si apre così il caso di coscienza. Che fare? Dire la verità o continuare nella menzogna? E in entrambi i casi, con quali conseguenze per loro e per la piccola?

Girato in prevalenza in campo lungo per quanto riguarda il paesaggio e riservando ai primi piani la funzione di raccontare le gioie e i dolori dei tre protagonisti, il film di Derek Cianfrance prosegue diritto nel compito di far vivere sullo schermo il travaglio interiore dei personaggi, le cui scelte vengono poi proposte al giudizio dello spettatore: “Voi come vi sareste comportati al loro posto?”, appunto.

Entro i limiti di questa programmata impostazione narrativa, La luce sugli oceani si propone così come un film che funziona, proprio anche e perché l’interrogativo di fondo viene posto in un’ambientazione lontana nel tempo (gli anni Venti, con un’appendice nel 1950) e nello spazio (gli esterni australiani girati tra la Nuova Zelanda e la Tasmania), affidati a interpreti carismatici, quali il ruvido  Fassbender, la fremente Vikander e la migliore Rachel Weisz: un terzetto di attori che Cianfrance dichiara di aver voluto dirigere alla maniera di John Cassavettes. Mah? forse solo per il predominio dei primi piani?

Certo tutto questo, il paesaggio come la recitazione, fa di La luce sugli oceani un’opera alquanto demodé e dichiaratamente retrò, che nei suoi momenti migliori riesce solo a ricordare certi film di David Lean o di James Ivory, piuttosto che quelli di Steve Spielberg (che si dice abbia consigliato a Cianfrance la lettura del romanzo della Stedman) o dei grandi melò hollywoodiani degli anni Cinquanta. Ma in un’epoca in cui sul piano formale tutto sembra permesso dal digitale, ben venga comunque anche un film come questo che se non altro ha il merito di richiamare l’attenzione sul primato della narrazione e sul fatto che al cinema ogni inquadratura e ogni sequenza sono finalizzate alla definizione di un senso; e a portare avanti una storia che su tale senso sappia costruirsi.

 

  

LA LUCE SUGLI OCEANI

(The Light Between Oceans, USA-GB-Nuova Zelanda, 2016)  Regia: Derek Cianfrance – Sceneggiatura: Derek Cianfrance e David Heyman, dal romanzo omonimo di M.L.Stedman – Fotografia: Adam Arkapaw- Musica: Alexandre Desplat – Costumi: Erin Benach – Montaggio: Jim Helton e Ron Patane.  Interpreti: Michael Fassbender (Tom Sherbourne), Alicia Vikander (Isabel Graysmark Sherbourne), Rachel Weisz (Hannah Roennfeldt), Bryan Brown (Septimus Potts), Caren Pistorius (Lucy Grace Rutherford adulta). Distribuzione: Eagle Pictures – Durata: due ore e 12 minuti

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