“Birdman” di Alejandro G. Iñárritu

birdman michael keatondi Aldo Viganò.
Ecco un film che su facebook piace moltissimo ai giovani attori, i quali credono di vedere il futuro che li aspetta nella rappresentazione che Birdman  fa del teatro tra camerini e corridoi,prove viste da dietro le quinte e anteprime di uno spettacolo liberamente tratto da un racconto di Raymond Carver (Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore), con la cui messa in scena il protagonista Michael Keaton spera di conquistare definitivamente  il passaggio dalla celebrità datagli da una serie di blockbusters (Birdman come Batman?) verso il riconoscimento delle sue vere qualità attoriali.

Ecco anche il film che ha entusiasmato molti addetti ai lavori della Settima Arte con la sua vertiginosa esibizione di piani sequenza che sembrano fare tanto cinema,  soprattutto se ci si dimentica che proprio questa esibizione era già stata un marchio di fabbrica di un altro virtuoso degli incipit cinematografici senza stacchi di montaggio, quale è stato Robert Altman.

Ma lo spettatore più attento, credo e auspico, non può fare a meno di avvertire che in Birdman c’è anche (e forse soprattutto) molto disordine narrativo, con una sceneggiatura che sbanda paurosamente dal realismo all’onirico, stentando quasi sempre a fonderli in un preciso centro focale o in una autentica visione del mondo.

Si accorge cioè, questo ipotetico spettatore con il quale non è però difficile identificarsi, che c’è sempre qualcosa di retorico e di compiaciuto nell’indubbio fascino della scrittura filmica e nella bravura di tutti gli interpreti, perché il regista li spinge inesorabilmente verso l’esibizione di sé, piuttosto che verso la costruzione di personaggi verosimili o verso la definizione di un’autentica riflessione sul complesso rapporto tra realtà e rappresentazione che a tratti (ma solo a tratti) sembra essere il tema centrale del film di Iñárritu.

C’è sempre un retrogusto che sa di falso  o che risulta eccessivamente compiaciuto in Birdman. Qualcosa di troppo compiaciuto  che serpeggia inesorabilmente anche all’interno dei rapporti tra i suoi protagonisti (quello di Keaton con la moglie separata e con la figlia ex-tossicodipendente, come quello tra gli attori interpreti dei personaggi in prova) o nella dichiarata volontà del film di proporsi come una riflessione sull’arte e sul teatro. Un teatro al cui interno tutto è permesso. Anche usare le proprie doti di psicocinesi (il tormentato protagonista possiede pure queste, oltre che quelle più angosciose di dialogare con il fantastico alter ego che gli ha dato successo sul grande schermo) per eliminare un collega sgradito; o fare in modo che una autorevole critica teatrale, piena di pregiudizi, possa cambiare idea e scrivere una recensione esaltante dopo di aver visto uno spettacolo il quale però sullo schermo risulta sempre fondamentalmente mediocre.

Cos’è stato a farle cambiare idea e indurla a scrivere una lunga recensione dal titolo “L’imprevedibile virtù dell’ignoranza”? Quel ridicolo e grottesco suicidio proposto con un colpo di pistola sparato da cartucce non più caricate a salve? La riscoperta di serietà professionale così esplicitamente negata nel colloquio al bar con il protagonista?

Iñárritu non lo dice, anche perché nella seconda parte (decisamente mal  scritta), l’interesse del film sta ormai viaggiando verso l’allegoria (alquanto banalizzante) della conquista della completa liberazione (anche dalle leggi fisiche della gravità) da parte del protagonista. Allegoria che ha un proprio antefatto non solo nelle periodiche apparizioni di Birdman, ma anche nella metaforica  messa a nudo dell’artista teatrale: come sembra allegramente suggerire la divertente (pur troppo sottolineata) sequenza in cui Michael Keaton, uscito in vestaglia per fumare una sigaretta dalla porta di sicurezza del teatro, se la vede improvvisamente chiudere alla spalle da una corrente d’aria, ed è pertanto costretto ad attraversare in mutande la folla di Times Square per poter rientrare dall’ingresso principale, prima di arrivare finalmente a trionfare sul palcoscenico. 

BIRDMAN O L’IMPREVEDIBILE VIRTU’ DELL’IGNORANZA

(Birdman or The Unexpected Virtue of Ignorance, USA 2014)

Regia: Alejandro González Iñárritu – Sceneggiatura:  Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Armando Bo – Fotografia: Emmanuel Lubezki – Musiche: Antonio Sánchez – Scenografia: Kevin Thompson – Costumi: Albert Wolsky – Montaggio: Douglas Crise e Stephen Mirrione.

Interpreti: Michael -Keaton (Riggan Thomson), Zach Galifianakis (Jack), Edward Norton (Mike Shiner),Emma Stone (Sam Thomson), Andrea Riseborough (Laura), Amy Ryan (Sylvia Thomson), Naomi Watts (Lesley), Merritt Wever (Annie), Lindsay Duncan (Tabitha Dickinson), Bill Camp (uomo pazzo), Michael Siberry (Larry), Benjamin Kanes (Birdman), Antonio Sánchez (il batterista).

Distribuzione: 20th Century Fox – Durata: un’ora e 59 minuti

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