Dal muto al digitale


di Renato Venturelli.
Enrico Rossetti, per anni critico dell’Espresso, è la memoria storica di quasi un secolo di cinema.

E’ una memoria storica del cinema in Italia, formatosi quando ancora nelle sale genovesi venivano proiettati i film muti, passato poi attraverso il Cineguf e il Film Club, quindi direttore della Fiera del cinema, redattore e critico dell’Espresso, presidente di Cinecittà… Enrico Rossetti ha oggi 94 anni e può ripercorrere proiezione per proiezione quasi un secolo di storia del cinema vissuta in prima persona.
“Il sonoro è arrivato in Italia nel 1930 – ricorda – Ma molte sale piccole tardarono ad attrezzarsi e all’Orientale, presso corso Buenos Ayres, o al Massimo di via XX settembre dove il biglietto costava poco, ho potuto ancora vedere nei primi anni ’30 i film muti con Douglas Fairbanks, Harold Lloyd, Buster Keaton, Rodolfo Valentino, Greta Garbo… Si entrava anche a metà spettacolo e si vedeva il film un paio di volte: se la sala era troppo piena, il direttore acchiappava un paio di ragazzi e li metteva fuori per far posto ai nuovi arrivati!”.

Quando entrò nel Cineguf?
Con Nanni Olivari ci siamo iscritti al Cineguf nell’autunno del 1939, dopo la maturità. Il cinema ci appassionava, ma certo non lo vedevamo come una carriera professionale. Non c’erano corsi universitari, esisteva da poco il Centro Sperimentale a Roma, ma non avevamo il coraggio di lasciare la famiglia. Molto più semplice iscriversi al Cineguf, che a Genova aveva corsi professionali e ottime attrezzature a 16 mm: Portalupi, Paolucci, Claudio Gora, che recitava a teatro col suo cognome Giordana, erano tutti passati da lì. Quando arrivammo, il Cineguf era stato affidato a Giulio Cesare Castello, che era già un critico affermato, da tempo nostro amico. Ci affiancammo a lui: poi Castello fu chiamato alle armi e ci ritrovammo a curare i programmi al suo posto.

Dove si svolgeva l’attività?
Come sala di proiezione avevamo la Casa del Balilla, da via Cesarea. Poi ci avevano trasferiti alla Casa del Mutilato, dietro la questura. Avevamo un buon numero di soci. Le mattinate della domenica invece si facevano all’Olimpia, Universale, Augustus, al Rex che poi è diventato Lux.
Quali registi italiani vi interessavano di più?
Naturalmente i nostri preferiti erano Blasetti e Camerini. Tra i nuovi, ammiravamo Castellani, con le bellissime immagini di Un colpo di pistola, Soldati, ma anche De Robertis e Rossellini per i documentari, e De Sica ai suoi esordi come regista.

Avevate restrizioni di tipo politico?
La censura a Roma era attenta a non far passare titoli sospetti e a quell’epoca già non venivano più distribuiti i film delle grandi case americane. Così i nostri programmi erano tranquilli. Ricordo però quando proiettammo Marie Chapdelaine in lingua originale: la Questura voleva impedirlo, poi diede il permesso ma limitando l’ingresso ai soli soci del Guf. Ebbe un successo straordinario: i film in lingua originale erano osteggiati dal regime, li faceva solo una saletta di Roma. Poi fui rimproverato per aver proiettato un film con Carole Lombard, alla sua morte. Mi dissero: ma non sai che è la moglie di Clark Gable e fa propaganda antifascista?

E i rapporti con le cineteche italiane?
C’è un episodio poco ricordato, nell’aprile 1940. Ero andato a Milano per una rassegna della Cineteca milanese, dove era molto atteso La grande illusione. Ad un certo punto, nel film, i prigionieri francesi apprendono che le loro truppe avevano riconquistato un villaggio ai tedeschi, e così si mettono a cantare La Marsigliese. Nella sala scoppia un applauso! La proiezione viene subito interrotta, le luci si accendono, due o tre provano a intonare Giovinezza, ma nessuno li segue. Lattuada allora va a parlare, dice che così non si fa… Riprende la proiezione, muta: poi, quando finisce la Marsigliese, torna il sonoro… Poche settimane dopo l’Italia entrò in guerra contro la Francia, ma tra gli universitari e gli ambienti colti c’era molta contrarietà. A Genova poi, quella dichiarazione di guerra non suscitò certo gli entusiasmi che dicevano…

Che continuità c’è tra il Cineguf e il Film Club del dopoguerra?
Tra i fondatori del Film Club, nato nel 1946 e ufficializzato nel 1947, c’eravamo io, Nanni Olivari, Renzo Marignano, Eugenio Carmi, Nicolò Ferrari, Carlo Bianco, Giorgio Florio e altri. C’era anche Enrico Ribulsi, uno strambo poeta che era amico di Zavattini, e che poi vidi come antipapa nell’Armata Brancaleone! Molti erano gli stessi del Cineguf. La sede era in salita Santa Caterina, presso l’Associazione Fotografia Ligure dei fratelli Chierici. La prima rassegna al Palazzo ebbe tale successo che il gestore ci chiese di replicare film come M di Lang, ma non si poteva. Io, nel frattempo, avevo cominciato a scrivere come critico cinematografico sull’edizione genovese dell’Unità, subentrando a Ivo Chiesa.

Quando andò a Roma?
Nel 1947, alla Mostra di Venezia, formammo la Federazione Nazionale dei Circoli del Cinema. Mi chiesero di fare il segretario, così mi trasferii a Roma insieme a Nicolò Ferrari, diventato poi regista. All’inizio era dura, ci lavavamo nei bagni pubblici e mangiavamo in un posto che si chiamava Peppino lo zozzone! Poi cominciammo a vederci tutti da Otello alla Concordia, che faceva credito: l’abitudine dei cinematografari era quella di mettere la firma al conto, pagando poi col primo contratto….

Finché arrivò l’avventura dell’Espresso…
Nel 1954 avevo avuto il primo posto fisso, a Cronache di Gualtiero Jacopetti, che però venne travolto dallo scandalo e dovette chiudere. Ma passammo tutti all’Espresso, quando Benedetti, Caracciolo e Scalfari lo fondarono nel 1955. Posso dire di aver lavorato all’Espresso dal primo numero fino a quando sono andato in pensione. Con una sola parentesi: quando Goffredo Lombardo mi chiamò a dirigere La fiera del cinema, una bella rivista che durò solo quattro anni, fino al ’63, perché la Titanus entrò in crisi. Tutta colpa di quel film fatto con gli americani, Sodoma e Gomorra. Volevano filmare le cavalcate nel Sahara e non avevano tenuto presente che c’era la sabbia….

Chi aveva scelto Moravia come critico all’Espresso, e come veniva giudicato?
L’aveva portato Benedetti dall’ Europeo, insieme a Cancogni, Fusco e altri. Non è che Moravia conoscesse bene il cinema nei suoi aspetti tecnici, però era in grado di commentare, e bene, i film che gli interessavano. Io mi occupavo degli altri film e ad esempio facevo tutti gli anni la Mostra di Venezia.

E’ stato anche presidente di Cinecittà, negli anni ’70.
Sì, ero vice di Margadonna, poi lui diede le dimissioni e feci il presidente per qualche tempo. Non era mica una cosa divertente… Però venivano Fellini e gli altri registi a lavorarci, ho conosciuto anche Billy Wilder quando venne a girare Avanti!.

Oggi quali sono gli autori o i film che la interessano di più?
“Di recente mi è piaciuto molto Hugo Cabret di Scorsese, tra gli italiani Gomorra, Il divo… Però andare al cinema è diventato troppo complicato. Prima si entrava anche a film iniziato, adesso bisogna andare con gli orari rigidi, il posto fisso… Allora preferisco vedermeli a casa, e magari riguardarmi autori come René Clair, che oggi sembra quasi dimenticato.

 

Postato in Critici, Numero 100.

I commenti sono chiusi.