La vera storia del cartoon all’italiana


di Renato Venturelli.
L’avventuroso mondo del cinema d’animazione romano secondo uno dei suoi protagonisti: l’alassino Gibba, alla vigilia dei suoi 90 anni.

Ci sono tanti libri che raccontano la storia del cinema d’animazione partendo dai film realizzati, ma c’è un libro utilissimo e divertente per capire la vita quotidiana nel mondo dell’animazione romana. E’ il Diario pubblicato cinque anni fa da Gibba, al secolo Francesco Maurizio Guido, nato ad Alassio nel 1924 e tornato da qualche tempo nella sua casa col terrazzino da cui durante la guerra vedeva arrivare da Capo Mele i cacciabombardieri. Ma che per oltre mezzo secolo ha vissuto a Roma tutte le disavventure di quello che definisce un mondo di peracottari.
– La storia del cinema italiano d’animazione è fatta di progetti che partivano in pompa magna con grandi entusiasmi. Ci riunivamo, affittavamo un appartamento, partivamo con il lavoro e dopo un po’ di tempo si scopriva che i soldi erano già finiti, o non c’erano mai stati. Per portare in fondo un film come Il nano e la strega c’è voluta tutta la mia passione, alla fine ci ho perso 7 milioni di assegni non pagati, perché nel frattempo era morto pure il produttore…

E in mezzo c’erano pure progetti divertenti, come la parodia di 007…
Negli anni ’60 c’era il boom di 007, così avevo avuto l’idea di un film su Jack Bomb con la caricatura di Sean Connery. Due anni di lavoro e 150 milioni di spesa. Il titolo era Jack Bomb, operazione Silverhand, avevamo pure coinvolto i tedeschi della Bavaria Film di Monaco, ma alla fine non se n’è fatto nulla.

E non era l’unico grosso progetto fallito.
Ho ancora lo storyboard intero del Mago di Oz. Ma c’era da coinvolgere la Rai, e lì mi dissero che bisognava metter su un budget da tre miliardi, e poi farlo con due… Con l’animazione era sempre così: pensavano di poter fare i film con quattro soldi perché non c’erano attori né tecnici da pagare, ma solo dei pazzi che si mettevano lì a disegnare. E poi contavano di mettersi in tasca qualche miliardo di straforo. Che dio li fulmini!

Andasti anche in Romania.
Bravissime persone, molto legate alle origini latine. Babbo Natale lo chiamano Papà Traian, dal nome dell’imperatore romano! Un giorno vidi a Bucarest il contabile di una casa di produzione italiana. “Ma come, non lo sapevi? – mi dice Antonescu della Romania Film – Vengono da Roma a comprarli belli e fatti, li firmano e li mandano ai vostri Premi Statali fingendo che la produzione sia avvenuta in Italia”.

Cerchiamo di fissare una tua filmografia precisa, perché su certe partecipazioni c’è un po’ di confusione.
– A cominciare dai cortometraggi degli anni ’60. Il produttore li firmava lui perché nel premio statale era prevista una quota anche per il regista, e lui firmandoli si metteva in tasca anche i soldi che spettavano a me…

I lungometraggi comunque sono tre.
C’è Il racconto della giungla, uscito poi come Robinson Crusoé, che è il film fatto con i romeni. Poi c’è Kim, del 1991, dove però avevano appaltato la lavorazione in posti diversi e così quando hanno rimesso insieme le varie parti il protagonista ogni volta ha una faccia diversa: io lo chiamo Kim e i suoi cugini. E in mezzo Il nano e la strega, uscito nel 1975, che oggi dicono sia un cult e mi è valso la fama di autore porno: da quella volta, per un po’ tutti venivano a chiedermi cartoni sporcaccioni.

Ma uno resta tra i tuoi pezzi forti.
Sì, l’inserto chiamiamolo osé di Scandalosa Gilda, il film di Gabriele Lavia. In tutte le recensioni veniva citato tra le cose migliori del film. Una soddisfazione.

Ma ci sono altri inserti tuoi in lungometraggi.
Negli anni ’50 avevo fatto un quadro della rivista di Rascel nel film Attanasio cavallo vanesio. E Xavier Cugat mi aveva fatto fare un cartone da inserire in un suo film con Abbe Lane, A sud niente di nuovo: persona simpaticissima, Cugat, sempre col suo chihuahua. Nel 1975 invece mi chiama Paolo Cavara, che ha visto Il nano e la strega e mi dice di volere qualcosa di simile per il suo nuovo film, …E tanta paura. Non sono un puritano, ma questa storia di passare per un pornografo non è che mi andasse molto. Comunque, mi metto al lavoro. La storia è pesantuccia: un’ingenua è prigioniera di due sadicone e di un gobbo tanto ben fornito quanto malintenzionato. Dopo essere stata picchiata e legata, arriva però in scena un robot con un gigantesco fallo rotante che scaccia il gobbo… E avanti così. Quando lo vide, Eli Wallach era però ammirato e divertito: very, very, very funny! ripeteva. E Cavara aggiunse: lo sapevo che avresti fatto un bel lavoro, ora ci vorrebbe una copia in super-8 per il produttore, sai, per uso domestico…

E poi ci sono i titoli di testa di svariati film.
Ma molti me li sono dimenticati. Di sicuro ho fatto i titoli di Tipi da spiaggia di Mario Mattoli, Little Rita nel Far West con Rita Pavone, Il tifoso l’arbitro il calciatore di Pingitore con Pippo Franco e Alvaro Vitali. Ma di altri ricordo i disegni, non i titoli: ad esempio, uno con i diamanti… Erano lavori da una settimana, cotti e magnati, anche se è vero che adesso si possono rivedere sempre quando passano i film in tv.

Nel Diario compaiono anche tanti altri personaggi, da Fellini alle prese col progetto di un corto d’animazione anni ’40, al tuo amico Zavattini, ad Alberto Moravia che compare negli studi mentre gli animatori sono al lavoro. Ma c’è anche una presenza imprevedibile al ministero, anni ’50…
Ero andato a trovare il sottosegretario Luigi Preti, che mi presenta un suo impiegato dai lunghi capelli bianchi, schivo, esitante, gentile. Preti mi disse che era il poeta Corrado Govoni, e di averlo infilato lì per salvargli la pagnotta.

Adesso però hai pubblicato anche un libro come narratore: Sina, sottotitolo Je m’en fiche!, storia di un’avventuriera di provincia che attraversa quasi tutta la storia del ‘900, con la passione per gli uomini e il vizio del gioco.

Da quel romanzo si potrebbe tirar fuori un bel film! Me lo dicono in tanti, anche se poi nessuno ci si mette… E’ la storia di una donna di origini benestanti, ma convinta di essere addirittura pronipote della Pompadour. E’ un personaggio sempre un gradino al di sopra dei suoi parenti e della piccola nobiltà del paese, che è poi Alassio. Ama la vita brillante e con i suoi comportamenti scandalizza tutti. Non disdegna gli uomini e sragiona per il gioco della roulette, col quale finisce per rovinarsi completamente, sperperando tutto il patrimonio paterno. Dopo vari amori, a cinquant’anni sposa un nobile austriaco, che ovviamente risulta non avere il becco di un quattrino, ma ha trent’anni meno di lei… Con la guerra, lui sparisce in Marocco e lei, in quanto sposa di un israelita, finisce in un campo di concentramento. Il bello è che la storia è vera, si rifà a una mia parente che qui tutti conoscevano!

Postato in Animazione, Numero 100.

I commenti sono chiusi.