Tutti i premi della Transilvania


di Furio Fossati

Sale sempre piene, pubblico partecipe anche nelle chiacchierate con registi ed attori alla fine delle proiezioni, il piacere di avere visionato opere quasi sempre interessanti e spesso ben riuscite in un paese in cui il cinema, per ora, non sente una vera e propria crisi.

Difficile trovare tanti titoli così gradevoli tutti assieme, soprattutto se si pensa che erano presenti film di cinematografie meno note come Perù, Uruguay, Tailandia, Cile e via di seguito; oltretutto moltissime erano opere prime di cui poco si era sentito parlare in altri festival.

La sezione più stimolante è stata quella dei cortometraggi “Shadow – Evil Shots” in cui più di un titolo merita la massima attenzione con autori particolarmente giovani (alcuni ventenni) che fanno bene sperare in un cinema futuro ricco di idee.

Per contro, quello forse più deludente era legata alla produzione locale dei cortometraggi con opere molto didattiche normalmente prodotte da Università e realizzate come saggi di fine corso da autori che spesso sono ancora privi di un vero linguaggio cinematografico. Eccezione va fatta, per 3/4 titoli ma, soprattutto, per il bellissimo e molto triste Rio 2016 di Bianca Rotaru, un documentario che racconta delle bambine chiuse in collegio ormai da un paio di anni e che rimarranno relegate a questo loro destino, alla fine forse di gloria, fino alle olimpiadi di Rio de Janeiro: l’infanzia loro negata è per tentare di ripetere le gesta di Nadia Comăneci mito di un paese che ricorda con orgoglio quella quindicenne che nel1976 a Montreal aveva vinto tre medaglie d’oro nella ginnastica.

Nei film in competizione alcuni già presentati in altri festival o addirittura uno già giunto anche in Italia – Wadjda (La bicicletta verde) di Haifaa Al-Mansour vincitore del premio del pubblico – comunque interessanti. Su 12 titoli proposti almeno 9 meriterebbero la circuitazione internazionale.

Molto bene scelti titoli per la sezione in competizione “This is the End” in cui il premio era assegnato dalla FIPRESCI. La morte vista come fine di una vita, chiusura di un rapporto, il fallimento. Nonostante il tema non certo allegro, i vari film hanno ottenuto molto interesse anche da parte del pubblico che ha dimostrato di capire il file rouge filosofico che univa ogni titolo all’altro.

Particolarmente interessante la proposta di Manasse di Jean Mihail, un film romeno del 1925, che racconta di un matrimonio combinato per bella ereditiera ebrea che vorrebbe sposare un giudice cattolico e a cui viene imposto ricco commerciante della sua stessa fede religiosa. La location per la proiezione era la corte di un antico castello che ha donato ulteriore fascino a questa proposta. L’accompagnamento musicale dal vivo è stato realizzato dai “Minima”, un gruppo inglese specializzato in questo tipo di operazioni.

Il tempo non è stato quasi mai clemente, mettendo a dura prova gli spettatori che hanno scelto di vedere la rassegna di film più noti nella piazza principale di Cluj. Molto adeguato il premio speciale della giuria a Tanta agua (Tanta pioggia) di Ana Guevara e Leticia Jorge, bello davvero, ma anche assolutamente in tema col clima di questi giorni.

Vari laboratori hanno animato la vita culturale del Festival, ma sicuramente il più seguito è stato quello tenuto dal direttore di fotografia, produttore e regista americano Ed Lachman. Con tono molto discorsivo da amico che chiacchiera al bar del più e del meno, ha raccontato aneddoti, ha dato consigli pratici ai giovani che componevano quasi interamente l’uditorio. Non prendendosi mai troppo sul serio, l’autore sessantacinquenne ha risposto con ironia a chi gli chiedeva quanto fosse stato importante il suo apporto in film di registi quali Robert Altman, Steven Soderbergh, Todd Solondz, Todd Haynes, Larry Clark, Sofia Coppola e Ulrich Seidl. “Se il tuo lavoro è fatto bene, nessuno si accorge della tua eventuale bravura se anche il regista ha lavorato correttamente. Se l’autore non ha diretto bene, la colpa ricade sul direttore di fotografia e sugli altri principali collaboratori. Per noi non c’è gloria, ma è bello sapere che qualcuno, come voi, nota il lavoro che facciamo.”

Condivisibile il giudizio delle varie giurie che hanno premiato sicuramente buoni film, a dimostrazione che dove non ci sono troppi interessi economici da rispettare, spesso i vincenti sono quelli che se lo meritavano di più.

Trofeo Transilvania: a Ship of Theseus (Nave di Teseo) di Anand Gandhi (India, 2012) che ha ottenuto anche il Premio per la migliore fotografia con Pankaj Kumar.

É un’opera prima bene riuscita in cui, in oltre due ore, si raccontano tre storie distinte ma unite dal desiderio o dalla necessità di ricostruire la propria identità. Una fotografa in crisi cerca se stessa nella foto che scatta, un monaco deve affrontare non il dolore altrui ma la propria malattia, un giovane agente di cambio scopre il mondo dei trapianti.

Il titolo si riferisce al  filosofo greco Plutarco e a Teseo che chiede se una nave che è stata restaurata, sostituendo tutte le sue parti, rimane la stessa nave.

Il trentenne Anand Gandhi, qui al suo primo film come regista di lungometraggi, ha iniziato a scrivere e dirigere spettacoli a scuola all’età di 12 anni. A 19 anni, ha scritto oltre 150 episodi di due soap opera televisive, poi ha viaggiato in tutta l’India per esplorarla, conoscere persone, la scrittura, ha partecipato e anche condotto una serie di seminari su argomenti che variano dalla economia gandhiana alla fisica quantistica. Grande amante della filosofia, ha inserito nel film le sue personali esperienze di vita.

Premio per il miglior regista: A Rikiya Imaizumi per Catch a Terrible Cat (こっぴどい猫, Ho preso un gatto terribile) (Giappone – 2012)

è gradevolissima commedia con un humor che non conoscevamo negli abitanti del paese del sol levante. Diretto con bravura e grande lievità da Rikiya Imaizumi, che ne è anche lo sceneggiatore, questo dramma misto a commedia convince per un intreccio alla Georges Feydeau funzionante in maniera perfetta. Norifumi Takada è un autore che ha pubblicato una serie di romanzi di successo, ma non ha più scritto da quando sua moglie è morta. Si avvicina il suo sessantesimo compleanno e per un insieme di coincidenze, si trova ad essere ospitato in casa di una bella barista che le offre il suo amore ma che poi vede in lui un padre. La ragazza ha un boy friend in realtà è sposato con la figlia dello scrittore. Intanto, un giovane autore che considera l’uomo suo maestro, vuole sposare una ragazza non amata perché pensa di averla messo incinta. Lui, però, è amico ed innamorato della cameriera. Detto questo, si può immaginare quante cose possano accadere in 130 minuti. Si sorride, si prova pena per l’anziano, si ha l’impressione di scoprire come sia sviluppata la società nipponica.

Premio Speciale della Giuria: a Tanta agua (Tanta pioggia) di Ana Guevara e Leticia Jorge (Uruguay, Messico, Olanda, Germania – 2012)

è diretto da due giovani autrici uruguayane, Ana Guevara Pose e Leticia Jorge Romero, ha grande delicatezza nel trattare il tema dell’adolescenza ma, nello stesso tempo, dimostra una certa insicurezza nella costruzione drammaturgica. Lucia è una quattordicenne particolarmente dispiaciuta di dovere trascorrere una settimana di vacanza con il padre divorziato ed il fratellino. Non le piace il suo tono sempre inquisitorio e, a peggiorare le cose, continua a piovere costringendo alla chiusura per motivi di sicurezza la piscina, praticamente l’unica attrazione della zona. Mentre il fratello passa il tempo con il padre, lei cerca disperatamente esperienze più eccitanti. Dopo poco incontra un ragazzo più grande di lei che le propone un giro col ciclomotore e poi la coinvolge in una festicciola fuori del paese. Timori e speranze della ragazzina vengono raffreddati dalla triste realtà. Gradevolissimi i giovani protagonisti, accettabile la sceneggiatura, un po’ naif la regia.

Premio per il migliore interprete: a Gustav Dyekjaer Giese per Nordvest (Nord ovest) di Michael Noer (Danimarca – 2012)

non originalissimo come vicenda ma che il regista danese Michael Noer è riuscito a raccontare col giusto distacco, evitando quasi sempre le cadute nel melodramma. Il Nordvest è una delle zone più povere e multietniche di Copenaghen. Casper (Gustav Dyekjaer Giese) vive qui con la giovanissima madre, il fratello minore e la sorella più piccola che adora. Ha 18 anni e per sbarcare il lunario vendere merce rubata. Quando il crimine organizzato giunge nel Nordvest, al ragazzo è offerta la possibilità di divenire un piccolo boss. Presto si trova completamente assorbito nel mondo della droga, della violenza e della prostituzione. Quando si accorge che il gioco è troppo pericoloso, non ha più possibilità di fare marcia indietro. La bravura di Michael Noer, che aveva debuttato col riuscito R (R, 2010) su di alcuni carcerati e le loro storie, è di avere dato precise linee ai vari interpreti lasciando rileggere i propri personaggi attraverso la propria sensibilità. Suono in presa diretta, macchina a mano, colore livido, musiche molto hard, interpretazione ottima da parte di tutti.

Premio per il miglior cortometraggio sezione Shadow – Evil Shots:
a Dood van een Schaduw (Death of a Shadow – Morte di un’ombra) di Tom Van Avermaet (Belgio – 2012)

era sicuramente una delle più interessanti opere presentate e conferma che in pochi minuti si possono costruire grandi emozioni raccontando storie belle e complesse. Bloccato nel limbo tra vita e morte, soldato caduto durante la guerra deve raccogliere con una particolare macchina fotografica le ombre di persone che stanno per morire per potere avere una seconda possibilità di vita e di amore. Ma quando è vicinissimo al risultato, si sacrifica e dona questa possibilità ad una coppia. Bello, dolce, affascinante riesce a dare l’emozione di un mondo parallelo possibile, quasi auspicabile pur nel dolore e nell’attesa di un nuovo futuro di chi lo vive.

Premio FIPRESCI: a El limpiador (The Cleaner – Il pulitore) di Adrian Saba (Perù – 2012)

è uno di quei film che fa sperare nella nascita di un cinema di grande qualità anche in paesi dove il numero di produzioni è molto limitato. Il ventitreenne peruviano Adrian Saba racconta con estrema delicatezza una storia bella, difficile in cui ogni cosa è perfettamente calibrata tra commedia e dramma senza mai toccare il registro del melò. Un uomo il cui lavoro è quello di pulire e sterilizzare i luoghi in cui qualcuno è morto, è il più attivo tra i suoi colleghi dallo scoppio di una misteriosa epidemia che ha fatto molte vittime a Lima. Un giorno, durante la pulizia di una casa abbandonata, si imbatte in un bambino nascosto in un armadio la cui madre e morta e di cui non si conosce l’identità; gli enti preposti non si muovono e si sente costretto moralmente a prendere in carico il bambino. Lo cura, lo aiuta prima a convivere poi a superare le mille fobie da cui è tormentato, in una città che sta lentamente morendo. Cerca di accelerare i tempi quando scoprono che è contagiato e che ha pochi giorni di vita. Molto bella l’amicizia tra l’uomo ed il bambino che diventano inseparabili; finalmente ambedue hanno una ragione per vivere, si sentono desiderati ed utili.

Premio del Pubblico: a Wadjda (La bicicletta verde) di Haifaa Al-Mansour (Arabia Saudita, Germania – 2012) già visto in Italia.

Premio di eccellenza: all’ attrice Luminita Gheorghiu

Premio alla Carriera: al regista Jiří Menzel

Premio alla Carriera: al compositore Adrian Enescu

Premio alla Carriera: al regista Stephen Frears

 

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