Il ritorno alle origini – Il primo uomo

il primo uomoNel suo primo lungometraggio, La fine del gioco, Gianni Amelio raccontava la storia di una fuga dal profondo sud verso la speranza rappresentata dal nord e ora, più di quarant’anni dopo e con la complicità del romanzo incompiuto di Albert Camus, egli mette in scena il tragitto inverso, alla ricerca delle proprie radici sentimentali e antropologiche. In entrambi i casi, dietro allo scorrere dei fotogrammi, si avverte la presenza di un nume tutelare identificabile con il cinema di François Truffaut; e non solo perché nel suo film d’esordio, come del resto anche in Il primo uomo, è ben evidente un percorso d’iniziazione (là iniziazione alla vita e qui all’avvicinarsi della morte), ma soprattutto perché quell’autorevole riferimento cinematografico è qui ben riscontrabile nell’abbondante uso delle panoramiche orizzontali che, nel lungo piano sequenza a seguire il piccolo protagonista sino al suo affacciarsi verso il mare, assumono l’esplicito sapore di una libera citazione di I 400 colpi.

Al suo ritorno a casa dopo lunghi anni di volontario esilio, Jean Cormery, il protagonista del romanzo di Camus, sembra essere spinto soprattutto dalla volontà di rientrare nel ventre della madre: una madre che non è solo la donna analfabeta da cui è stato partorito e cresciuto senza il padre morto in guerra, ma è anche la Patria martoriata dai conflitti anticoloniali, il ricordo della nonna materna fedele ai più rigidi sistemi tribali d’educazione, il maestro che gli insegnò il piacere di conoscere e il compagno di scuola arabo, che ora deve fare i conti con la condanna a morte del figlio per terrorismo. Nel romanzo come nel film, la storia si dipana attraverso l’intersecarsi di due piani cronologici: il 1957 è l’anno in cui si svolge il ritorno dell’”esule”, caricato da un tono tragico che a tratti evoca i “nostos” della cultura greca; mentre il 1924 è il momento in cui il piccolo Jean Cormery si trova a dover fare la scelta fondamentale della sua vita: fuggire da quel mondo arcaico, aprire la mente alla conoscenza del nuovo come vorrebbe il suo lungimirante maestro e diventare così Albert Camus, oppure rassegnarsi a rimanerne prigioniero della tradizione e crescere “straniero” in patria come molti altri figli di “pied-noirs” algerini.

Gianni Amelio racconta questa storia di nostalgia e d’iniziazione con i toni dolenti di un’esperienza autobiografica, senza però rimanerne prigioniero, perché il suo film sa sovente elevarsi in una personale riflessione sulla Storia (la contestata conferenza di Cormery nell’aula universitaria), sui sempre difficili rapporti tra sentimenti personali e modelli di comportamento dettati dalla tradizione (la bella figura della nonna che usa la frusta come necessario strumento d’educazione), sull’attualità del conflitto etnico alimentato da un regime coloniale poliziesco (la sottesa violenza che caratterizza gli incontri del protagonista con il coetaneo arabo, sia nell’infanzia, sia soprattutto nel loro incontro nella casbah assediata dall’esercito francese). Tutto questo, insieme a un uso molto classico della cinepresa, concorre a fare di L’ultimo uomo il film più intenso, appassionato e coerente della filmografia di Amelio, il quale ancora una volta non rinuncia ai toni dolenti che gli sono più congeniali, ma sa anche molto bene servirli attraverso la sapiente direzione degli attori (adulti e bambini) e la composta utilizzazione dei lunghi primi piani alla ricerca dei fermenti dell’anima che ribollono dietro la maschera dei molti momenti di silenzio che caratterizzano il film.

IL PRIMO UOMO
(Le premier homme – Italia, Francia, Algeria, 2012)
Regia e sceneggiatura: Gianni Amelio
Soggetto: Albert Camus
Fotografia: Luca Bigazzi
Scenografia: Arnaud de Moleron e Etienne Rohde
Costumi: Patricia Colin
Interpreti: Jacques Gamblin (Jean Cormery), Catherine Sola (Catherine Cormery, 1957), Maya Sansa (Catherine Cormery, 1924), Denis Podalydès (professor Bernard), Ulla Baugué (la nonna), Nicolas Giraud (zio Etienne, 1924), Nino Jouglet (Jean bambino), Abdelkarim Benhabouccha (Hamoud), Hachemi Abdelmalek (Aziz), Jean-François Stevenin (film maker)
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: un’ora e 38 minuti

Postato in Numero 98, Recensioni, Recensioni di Aldo Viganò.

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