Miracolo a Le Havre – Realismo poetico secondo Kaurismaki

miracolo le havreIl rapporto con la città francese eletta a fare da contenitore scenografico dall’ultimo film di Aki Kaurismaki è diametralmente opposto a quello che l’ultimo Woody Allen instaura con la “sua” Parigi. Nei fotogrammi di Miracolo a Le Havre non c’è mai nulla d’illustrativo o di turistico e le immagini di quella città restituiscono solo qualcosa di squisitamente cinematografico. Le Havre è un personaggio del film come lo sono gli altri di questa favola realistica: personaggio figurativo che con gli esseri umani dialoga in modo intimo e profondo, ora giustificandone i comportamenti e ora commentandoli. Varcata la soglia dei cinquant’anni, gli ultimi dei quali trascorsi nel suo ritiro portoghese, poco lontano dalla strada di Oporto dove abita il centenario De Oliveira, il finlandese Kaursimaki consegna al grande schermo, con Miracolo a Le Havre, il suo film più sereno e rappacificato, lontano dagli eccessi goliardici dei suoi Leningrad Cowboy come dal cupo pessimismo che contraddistingue quel filone della sua filmografia che va da La fiammiferaia a L’uomo senza passato.

Una grande opera dal tono dimesso: dolce e insieme graffiante, malinconico e tutto proteso verso la speranza nel futuro. Senza nulla rinnegare della originalità espressiva del suo eccentrico autore, Miracolo a Le Havre è un film che riesce nell’impresa, apparentemente impossibile, di fonderne le due anime estetiche in un realismo poetico che affonda le proprie radici nella storia stessa del cinema. Mai esibite sullo schermo, le molteplici suggestioni culturali del film si esplicitano in citazioni dirette solo nei nomi assegnati ai personaggi che rinviano ora a un’ideologia (il cognome del protagonista è Marx), ora a un modello estetico (Monet si chiama l’ispettore-poeta) e ora a quel particolare momento della storia del cinema francese che nei tardi anni Trenta aveva trovato la propria cifra più autentica, proprio su quelle coste del nord, nello sguardo malinconico di Arletty (nome attribuito al personaggio qui affidato all’icona kaurismakiana Kati Outinen) osservato dalla cinepresa di Carné, che come il lustrascarpe interpretato da André Wilms di nome faceva Marcel. E il gioco dei rimandi “cinephili” potrebbe proseguire chiamando in causa anche la presenza nel film di Jean-Pierre Leaud, profilo invecchiato della “Nouvelle Vague”, o del più chapliniano dei registi francesi (Pierre Etaix), o anche l’esplicita reminescenza del cinema giapponese restituita da quel ramo di ciliegio in fiore su cui il racconto si conclude. Ma, pur essendo così radicalmente immerso nella storia del cinema, del cui linguaggio si fa consapevolmente sponda, Miracolo a Le Havre non è mai un film che usa la citazione come una strizzata d’occhio per farsi riconoscere dal suo pubblico.

Attraverso questa narrazione d’ambiente realistico e dal doppio lieto fine, con protagonista un lustrascarpe che aiuta un ragazzino africano a proseguire il suo viaggio verso l’Inghilterra, proprio nei giorni in cui la moglie ricoverata per un cancro maligno viene miracolosamente dimessa dall’ospedale perfettamente guarita, Kaurismaki mette in scena un film che s’inserisce con assoluta originalità nel solco tracciato dai Chaplin, Capra, De Sica o Demy. Un film assolutamente personale, in cui la follia rockettara di “Little Boy”, può perfettamente convivere con il mondo chiuso di quel quartiere dove tutti si aiutano e dove anche l’arcigno e temuto ispettore di polizia si rivela essere sensibile alla malinconica dolcezza dell’amore. Un delicato esempio di come l’utopia possa farsi cinema, senza mai cadere nella retorica.

(di Aldo Viganò)

Miracolo a Le Havre
(Le Havre, Finlandia-Francia-Germania, 2011)
Regia, soggetto e sceneggiatura: Aki Kaurismaki
Fotografia: Timo Salmines – Scenografia: Wouter Zoon – Costumi: Frédéric Cambier
Montaggio: Timo Linnasalo
Interpreti: André Wilms (Marcel Marx) – Kati Outinen (Arletty) – Jean-Pierre Darroussin (Monet) – Blondin Miguel (Idrissa) – Elina Salo (Claire) – Evelyn Didi (Yvette) – Quoc Dung Nguyen (Chang) – Roberto Piazza (Little Bob) – Pierre Etaix (Dottor Becker) – Jean-Pierre Leaud (il delatore)
Distribuzione: Bim
Durata: un’ora e 33 minuti

Postato in Numero 96, Recensioni, Recensioni di Aldo Viganò.

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