Intervista a Francesco Falaschi


Francesco Falaschi e Matteo PetriniVenerdì 15 aprile al cinema Eden di Pegli si sono tenute le proiezioni di due cortometraggi di Francesco Falaschi – Quasi fratelli (1998) e Adidabuma (1999) – e soprattutto quella del suo terzo e ultimo lungometraggio: Questo mondo è per te.

Il tutto alla presenza del regista e dell’attore protagonista Matteo Petrini, con cui successivamente si è tenuto un dibattito.

Questo mondo è per te è una pellicola realizzata in occasione di un workshop tenutasi al DAMS di Firenze dove Falaschi insegna. I ragazzi hanno così potuto seguire e influire su tutte le fasi della lavorazione, dalla stesura della sceneggiatura al montaggio finale.

Tale iniziativa non è di certo nuova, in quanto nella storia del cinema si sono già verificate esperienze simili, da quella lontana per epoca e luogo di Kulesov, che in Unione Sovietica girò con i suoi studenti un film quale Le avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi (1924), ad una più recente e vicina come Sorelle mai (2011), opera famigliare che Bellocchio ha diretto a Bobbio, unendo 6 cortometraggi realizzati tra il 1999 e il 2008 durante i corsi di Fare cinema.

Detto questo, è indubbio che il progetto di Falaschi risulti positivo e complessivamente raro in un’epoca di crisi economica e culturale come la nostra.

In ogni caso, la serata al cinema Eden ci ha dato un’occasione per intervistare l’autore, con cui abbiamo parlato della sua ultima fatica, del workshop e in generale della situazione attuale del nostro cinema.

Secondo lei in che stato è la commedia italiana?
C’è una tendenza ad avere dei film italiani forti dal punto di vista produttivo e del pubblico, che è positiva, però c’è una tendenza a fare delle produzioni sempre più a formula, sempre più volontariamente standardizzate e questo mi fa un po’ paura. Il problema è che poi si tolga spazio a delle voci un po’ più libere come quelle di Zanasi e Reggiani.

Non sono molto ottimista sul fatto che si moltiplichino degli spazi, secondo me l’accesso all’industria del cinema è molto limitato e c’è molta poca fantasia. Siamo a un degrado vero dello spettacolo.

Ci può parlare del passaggio da una produzione di un cortometraggio a quella che è una produzione di un lungometraggio?
Sì, diciamo, in questo caso (Questo mondo è per te) le differenze sono pari alle analogie, perché è un film fatto in grande indipendenza, in maniera piuttosto artigianale e lo spirito è un po’ quello del cortometraggio. Quindi in questo caso dal punto di vista dell’organizzazione è abbastanza simile. Creativamente è diverso perché i cortometraggi, paradossalmente, io li ho sempre considerati più difficili, perché la vittoria del cortometraggio è per K.O. tecnico, funziona o non funziona, mentre nel film, come in un romanzo, possono piacere il 70% delle cose e il 30 no. Poi in un film l’avventura è più grande, quindi tutti i sentimenti che ti scatena sono più intensi e inoltre ti espone molto di più.

Qual è la differenza sul set tra Questo mondo è per te e i lungometraggi precedenti?
Questo è più simile al primo (Emma sono io), il secondo (Last Minute Marocco), più industriale, era diverso perché su commissione. La peculiarità vera di questo rispetto a tutti gli altri è che c’era una specie di pubblico, c’erano i ragazzi, quindi dovevi dare conto di quello che facevi e questo ti aiuta.

Passare da un workshop al grande schermo: i ragazzi e la sua figura di docente e regista
Diciamo che c’è stato un gruppo che è andato dritto dall’idea alla sala, lo zoccolo duro è stato quello di Matteo (Petrini). E poi c’è stato anche il gruppo che è stato una specie di treno, in cui qualcuno è salito e sceso prima, quindi sono stati 2 anni di lezione nella scuola e poi questo corso un po’ massacrante di 600 ore d’aiuto regista. È stato un corso durissimo, però adesso tutti più o meno lavorano, chi in produzione, chi in regia, ciò ci fa molto piacere.

Ci saranno esperienze simili in futuro?
Nell’immediato c’è grande crisi e ora faremo almeno un biennio di sopravvivenza della scuola, perché è inutile nascondersi che non ci son fondi, però questo progetto ha tracciato una linea, almeno per noi.

Vuole dare un consiglio ai giovani?
Secondo me deve essere rivalutato il concetto di sforzo e di studio, e diffidare assolutamente di scorciatoie e colpi di mano. Quello che più m’impressiona è il ragazzo che viene al colloquio per fare la scuola di cinema e dice che vuol fare il protagonista. C’è questa tendenza a bruciare le tappe.

(di Juri Saitta)

Postato in SC-Interviste, Spazio Campus.

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