Sezione: Recensioni

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Batman – Il cavaliere oscuro

Unica grande produzione uscita d’estate anche in Italia, quasi in contemporanea con la “prima” americana, Batman – Il cavaliere oscuro è stato accolto generalmente in modo molto positivo dal pubblico come dalla critica. «Un film sulla tragedia del potere» scrive il critico dell’”Unità” (Alberto Crespi), trovandosi in questo d’accordo anche con il collega di “Il Giornale” (Pedro Armocita), il quale accenna anche lui alla tragedia greca e definisce «metafora dell’11 settembre» un film che lascia lo spettatore con «l’unica certezza dell’inquietudine che ti coglie nel lasciare la sala». Insomma, ancora più che in Batman Begins, di cui questo The Dark Knight è il dichiarato sequel, Christopher Nolan, ancora affiancato in fase di sceneggiatura dal fratello Jonathan, riesce nell’impresa di conciliare il grande spettacolo d’azione con il cinema d’autore, mettendo in scena «probabilmente il più “nero” dei Batman realizzati fino a oggi» (Giulia D’Agnolo Vallan, “Il Manifesto”) e avendo il coraggio di consegnare al pubblico un «film lunghissimo e bello», che «in un flusso torbido di ambiguità e malvagità» mette in scena «il lato buio di un supereroe» (Lietta Tornabuoni, “L’Espresso”).
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Eldorado Road

La curiosa idea di mettere in scena un film “on the road” in un paese dove con due ore di macchina si giunge sempre al confine non poteva che sortire un’opera astratta, sospesa in un’atmosfera fantastica, tanto da somigliare più ad Aspettando Godot che a pellicole del tipo Lo spaventapasseri, alle quali il regista e interprete belga Bouli Lanners (nato nel 1965, pittore autodidatta, attore televisivo di successo e regista e suo secondo lungometraggio) pur sembra essersi ispirato. Eldorado (questo il titolo originale) è un film figurativamente raffinato e a tratti dichiaratamente pittorico, ma dall’andamento narrativo interamente costruito intorno a una sola idea che ambisce proporsi come metafora di una condizione sociale ed esistenziale tipica del mondo contemporaneo.
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Onora il padre e la madre

Girata la boa degli ottant’anni, Sidney Lumet (nato nel 1924) sembra aver trovato una nuova giovinezza, che lo induce a mettere in scena film alquanto spregiudicati, capaci di guardare al cinema molto più di quanto facessero le sue applaudite opere di cinquant’anni fa che nascevano soprattutto nell’alveo di quella estetica televisiva per cui in un film quello che conta è soprattutto l’argomento trattato al servizio del quale deve essere sempre messa la cinepresa.
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I padroni della notte

È dal suo esordio con Little Odessa che i cinéphiles più accaniti guardano con crescente interesse al cinema di James Gray (classe 1969) e ai suoi melodrammi familiari travestiti da “noir”. E I padroni della notte con Joaquin Phoenix (già presente nel precedente The Yard e protagonista anche del prossimo Two Lovers) giunge puntualmente a soddisfare le loro attese. Veloce definizione dello spazio drammatico. Personaggi determinati essenzialmente dal comportamento. Recitazione priva d’indulgenze psicologiche. Luci e montaggio da film di serie B degli anni Settanta.
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Tutta la vita davanti

Anche se fallisce ancora una volta l’occasione di consegnare al fragile cinema italiano contemporaneo un’opera pienamente convincente, Paolo Virzì si conferma come l’unico regista italiano ancora capace di coniugare la commedia con uno sguardo sincero sulla realtà, la tensione etica con la sorridente rappresentazione, attraverso personaggi vitali, dei molti vizi e le poche virtù di un presente sinteticamente còlto: proprio come accadeva in quel cinema d’antan, qui amorevolmente citato attraverso l’evocazione di Straziami, ma di baci saziami.
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Nelle terre selvagge

Muovendo da una storia vera mediata in forma di romanzo da John Krakauer, Sean Penn torna alle sue ambizioni di regista – questo è il suo film 4 e ½, dopo Lupo solitario, Tre giorni per la verità, La promessa e l’episodio di 11 settembre – e centra l’opera che più gli somiglia. Un po’ pasticciata nella sua vitalità; ora ingenua sino al limite del dilettantismo, ma altrove molto sofisticata nelle sue scelte stilistiche e alternative; comunque sempre sincera e mai rassegnata alla banalità.
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Lussuria

Hong Kong, inizio degli anni Quaranta. La Cina è occupata militarmente dal Giappone e amministrata da un governo collaborazionista che ha il proprio uomo di punta nel freddo e implacabile Mr.Yee. Un gruppo di giovani attori legati alla resistenza decide di uccidere l’uomo politico e per poter far questo incarica una neofita, la bella Wong Chia Chi, di sedurre Mr. Yee, per attrarlo poi in un’imboscata, dove possa essere eluso il suo rigido servizio d’ordine.
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La promessa dell’assassino

Varcata la soglia dei sessant’anni, David Cronenberg (nato a Toronto nel 1943) si appresta a diventare un classico? La domanda viene spontanea dopo la visione di La promessa dell’assassino, che avviene a due anni di distanza da quella del bellissimo History of violence. Certo Cronenberg non cambia stile e tanto meno rinnega la personale ricerca svolta nei suoi precedenti lungometraggi e, nei limiti concessi, anche nei molti film realizzati per la televisione.
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