Moulin Rouge

L’australiano Baz Luhrmann, si sa (Ballroom, Romeo+Giulietta), non è regista che ama le mezze misure. Scelta la via del melodramma musicale, quindi, che musical sia! Direttamente, senza mediazioni storiche, puntando a spron battuto sulla sintesi tra musica e parole, con le canzoni e le coreografie che si inseriscono con naturalezza nella trama, e sortendone un film che ha la propria misura solo nell’eccesso: di colori e di suoni, di sentimenti e di ideologia, di effetti speciali e di citazioni.

Moulin Rouge evoca Parigi e la Belle Epoque, chiama in causa Toulouse-Lautrec e Eric Satie, ma non ha nulla a che fare con un film di ricostruzione storica o con il classicismo dell’omonimo precedente firmato da John Huston; parla di amore e di libertà, di boheme e di anarchia, ma lo fa mettendo sullo stesso piano La Traviata e i Police, Debussy e Sting, Rita Hayworth e Marilyn Monroe, i Beatles e Madonna, la pittura francese post-impressionista e i folgoranti colori dell’elettronica digitale.

Questo è Luhrmann, talentuoso regista di una generazione senza il senso della storia e portata a coniugare tutta la realtà in un eterno presente. Prendere o lasciare. Ma chi riesce ad attraversare indenne la vertiginosa sensazione di trovarsi ingoiato in un videoclip, con tutto il suo caotico corollario di luci e di fracasso, ha la sorpresa di scoprire che ne valeva la pena. Perché Luhrmann possiede la virtù di infondere il fremito della vita in ogni sua sequenza, sin dai singoli effetti di montaggio visivo-sonoro.

Perché, pur nella frantumazione delle immagini, Nicole Kidman e Ewan McGregor sanno dare vita a personaggi autenticamente veri nella loro dichiarata falsità di genere. Perché, proprio come accade nei classici apparentemente tanto lontani, il cinema torna ancora una volta a essere più grande della vita e a farcela così meglio capire. Moulin Rouge è un luogo (un film) mitico, dove tutto si mescola per ritornare all’unità primordiale e rigenerarsi in un’ipotesi estetica interamente proiettata verso il futuro.

Come Toulouse-Lautrec e i suoi amici libertari, anche Luhrmann sembra dichiarare esplicitamente la propria volontà di chiudere i conti con il secolo nel quale si è formato, per aprire le porte all’estetica che sta per venire: con tutto quanto di estremista, acritico, ingiusto ciò necessariamente comporta, ma anche portando nel cinema d’inizio secolo XXI una salutare ventata di energia.

Moulin Rouge
(Moulin Rouge, 2001)
Regia: Baz Luhrmann
Sceneggiatura: Baz Luhrmann e Craig Pearce
Fotografia: Donald McAlpine
Musica: Craig Armstrong
Scenografia: Ann-Marie Beauchamp
Costumi: Catherine Martin e Angus Strathie
Montaggio: Jill Bilcock
Interpreti: Nicole Kidman (Satine), Ewan McGregor (Christian), Richard Roxburgh (duca di Monroth), John Leguizamo (Toulouse-Lautrec), Matthew Wittet (Eric Satie), Jim Broadbent (Harold Zidler), Garry McDonald (il dottore)
Durata: due ore e 4 minuti
Distribuzione: 20th Century Fox

(di Aldo Viganò)

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