Miracolo a Sant’Anna

Cosa c’entra un afro-americano di Atlanta con la Resistenza italiana? Che ha a che fare un regista di opere essenzialmente urbane e declinate in primo piano con le autunnali colline toscane e con la dimensione epica implicita nella messa in scena di un film di guerra che dura 160 minuti? Che ruolo occupa nella filmografia di Spike Lee il Miracolo a Sant’Anna? È chiaro che ciò che maggiormente l’ha affascinato del romanzo di James McBride, è l’occasione di ribadire ancora una volta il ruolo fondamentale degli uomini di colore nella storia degli Stati Uniti, partendo dal racconto delle tragiche esperienze di quattro soldati della 92° divisione Buffalo (due sergenti, un radiotelegrafista e un soldato semplice con la mente disturbata in una possente presenza fisica) che nel corso della campagna d’Italia restano tagliati fuori dalle loro linee e si rifugiano in un paesino dell’Appennino toscano, dove vengono accolti con sentimenti controversi dalla popolazione locale.

C’è chi è rimasto fedele al fascismo e chi teme le rappresaglie naziste; c’è la “signorina” che fraternizza con i “liberatori” e ci sono i partigiani che guardano con un certo sospetto i nuovi venuti con la divisa e le tavolette di cioccolata. Ancora una volta, Spike Lee sembra voler sviluppare il tema a lui sempre molto caro di un’umanità che, pur nei contrasti anche violenti delle contingenze storiche, rivendica il diritto di assumere su di sé i valori della responsabilità personale e della solidarietà contro gli ipocriti, gli oppressori e i voltagabbana. Siano questi, come nei suoi film precedenti, espressione di una società ancora fondamentalmente razzista quale quella americana, oppure, come in questo caso, identificabili ora nella stupidità di un tenente yankee, ora nell’ottusa ferocia di un ufficiale nazista preoccupato solo di eseguire gli ordini superiori, ora anche nel partigiano traditore che, dopo di essere stato la causa delle due stragi raccontate nel film – quella di Sant’Anna e quella degli abitanti del paese in cui gran parte del film s’ambienta -, riappare come un fantasma davanti allo sportello dell’ufficio postale newyorkese, dove lavora l’unico sopravvissuto del quartetto della Buffalo e viene da questo ucciso con la pistola ricevuta in dono dall’ufficiale tedesco che gli aveva risparmiato la vita. È dentro all’arco compreso tra questo gesto di vendetta e il suo conseguente processo, che tutto il film si svolge, con l’inevitabile strascico di polemiche derivanti dal fatto che la responsabilità delle stragi venga qui attribuita al tradimento di un partigiano e non solo alla ferocia tedesca.

Ma il problema del film, che sin dall’inizio si dichiara essere un’opera di finzione, non è certo questo. Anzi, se questo elemento ideologico, in fin dei conti marginale, emerge lo si deve essenzialmente alla debolezza dell’assunto narrativo e cinematografico nel quale esso s’iscrive. Girato male nelle scene d’azione che non sono mai state una specialità di Spike Lee, molto incerto e schematico nella definizione dei personaggi, sempre preoccupato di spiegare – anche attraverso lunghi dialoghi didascalici – dove sta il bene e dove il male, il film sbanda continuamente e precipita sovente nella retorica. Più che alla storia, appunto, sembra guardare verso l’ideologia. E in questo calderone precipita anche la guerra partigiana, che ne esce banalizzata, però, non tanto per esplicito revisionismo, quanto per la storica incapacità del cinema americano di parlare della storia degli altri.

Miracolo a Sant’Anna
(Miracle at St. Anna, Usa-Italia, 2008)
Regia: Spike Lee
Sceneggiatura: James McBride
Fotografia: Matthew Libatique
Musica: Terence Blanchard
Scenografia: Sarah Frank e Tonino Zera
Costumi: Carlo Poggioli
Montaggio: Barry Alexander Brown
Interpreti: Derek Luke (sergente Aubrey Stamps), Michael Ealy (sergente Bishop Cummings), Laz Alonso (caporale Hector Negron), Omar Benson Miller (soldato Sam Train), Pierfrancesco Favino (Peppi Grotta), Valentina Cervi (Renata), John Turturro (detective Antonio Ricci), Omero Antonutti (Lorenzo).
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: due ore e 40 minuti

(di Aldo Viganò)

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