“Widows – Eredità criminale” di Steve McQueen

di Aldo Viganò.

Nella città di Chicago – dove la carica di sindaco è contesa tra il rampollo di una potente famiglia di origine irlandese (Colin Farrell), che tratta segretamente con un noto criminale, e un uomo di colore (Brian Tyree Henry), il quale non esita a far ricorso a sanguinosi metodi malavitosi – si svolgono a distanza di poco tempo una dall’altra due rapine milionarie.

La prima, compiuta da un manipolo di uomini guidati da Liam Neeson, fallisce clamorosamente in un rogo esplosivo; mentre la seconda, che è organizzata dalla sua ex-moglie (Viola Davis) ed è eseguita solo da donne senza esperienza specifica nel campo, giunge, almeno per loro, a buon fine: pur con qualche inevitabile sorpresa.

Queste donne sono, appunto, le vedove dei primi rapinatori, le quali, ricattate dal bisogno e soprattutto minacciate dai killers dell’aspirante sindaco di colore, decidono di eseguire la rapina ai danni del candidato irlandese, servendosi del dettagliato piano apparentemente dimenticato in un cassetto da Liam Neeson.

Muovendo da una fortunata serie televisiva britannica degli anni Ottanta e mescolando astutamente politica e criminalità in modo da renderle difficilmente distinguibili, il regista di colore Steve McQueen propone così sullo schermo un thriller che rovescia il tradizionale punto di vista maschile di questo genere cinematografico, giungendo alla conclusione che le donne sanno essere pure in questo campo non solo brave, ma anche più oneste e meno portate al tradimento sia dei loro mariti, sia di tutti gli altri maschi che cercano di impaurirle.

Come è ovvio, questo rovesciamento di prospettiva narrativa ha una inevitabile ricaduta anche sullo stile di questo film intitolato alle “Widows” (cioè, “Vedove”), concorrendo di conseguenza ad addolcire i rapporti interni tra coloro che eseguono la rapina: una nera (Viola Davis), una sudamericana (Michelle Rodriguez) e una giovane di origine polacca (Alice Gunner), coadiuvate dalla dinamica Cynthia Erivo. Ma senza per questo mai rinunciare al primato dell’azione perentoriamente richiesto dal “genere” di un film che si è scelto di realizzare secondo le sue ben definite e precise regole interne.

Ed ecco, quindi, che, dopo di aver raccontato con successo la storia di un anonimo impiegato ossessionato dal sesso (“Shame”) e quella dell’odissea di un violinista di colore vittima dello spietato razzismo imperante negli Usa prima della guerra di Secessione (“12 anni schiavo”), il cinquantenne inglese McQueen si mette alla prova con un cinema di “genere” tipicamente hollywoodiano. E, sebbene i dichiarati modelli di Don Siegel o di Samuel Fuller risultino essergli ancora un obiettivo tutto da raggiungere, egli riesce comunque a essere convincente, sia nella –definizione delle protagoniste, sia nella capacità di tratteggiare i personaggi di contorno.

Anche se un po’ condizionate dall’inevitabile schematismo del loro precedente televisivo. le quattro protagoniste (tre più uno, come i moschettieri di Dumas) contribuiscono a fare un simpatico spettacolo di un film che gioca con astuzia sulle differenti condizioni sociali di quelle donne accomunate dal bisogno di soldi, oltre che dal piacere dell’azione. E trovano in Steve McQueen un regista il quale ben le asseconda, adottando un montaggio che gli permette di passare agilmente dall’una all’altra, riunendole solo nei pur complicati passaggi esecutivi del piano criminale.

Nel corso di più di due ore, si seguono così, tra l’altro, le disavventure della benestante Viola Davis alle prese con ricattatori che non esitano a ucciderle come monito il fedele autista; ma anche le tribolazioni domestiche della proletaria Michelle Rodriguez per  trovare una soluzione al bisogno quotidiano di accudire i figli; nonché quelle della longilinea Alice Gunner educata dalla madre a vendere con generosità il proprio corpo o le atletiche “performances” di Cynthia Erivo, che ama correre e tirare di boxe, e sa dividersi senza mai lamentarsi tra il lavoro di parrucchiera, quello di baby-sitter e, quando necessario, anche di autista.

Ben dirette da McQueen, che le circonda di un cast d’attori molto noti e sempre ottimamente utilizzati (tra i quali primeggia ancora una volta l’ormai ottantasettenne Robert Duvall), sono queste “vedove” la forza trainante di un film che, alternando con accortezza toni e ritmi, riesce a essere per tutta la sua durata piacevole da vedere e che viaggia con decisione verso un “happy end” ricco di sorprese e di colpi di scena.

 

WIDOWS – EREDITÀ CRIMINALE

(Widows – GB e USA, 2018)  regia: Steve McQueen – soggetto: dall’omonima serie televisiva – sceneggiatura: Steve McQueen e Gillian Flynn – fotografia: Sean Bobbitt – musica: Hans Zimmer – scenografia: Adam Stockhausen – montaggio: Joe Walker.  interpreti e personaggi: Viola Davis (Veronica Rawlins), Michelle Rodriguez (Linda Perelli), Elizabeth Debicki (Alice Gunner), Cynthia Erivo (Belle O’Reilly), Colin Farrell (Jack Mulligan), Brian Tyree Henry (Jamal Manning), Daniel Kaluuya (Jatemme Manning), Jacki Weaver (Agnieska), Robert Duvall (Tom Mulligan), Carrie Coon (Amanda), Lian Neeson (Harry Rawlins), Manuel Garcia-Rulfo (Carlos Perelli), Jon Bernthal (Florek Gunner), Garret Dillahunt (Bash O’Reilly), Lukas Haas (David), Michael Harney (sergente Fuller).  distrìbuzione: 20th Century Fox – durata: due ore e 8 minuti

 

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