Torino Film Festival 2015 – “Wild in the Streets” di Barry Shear

it-could-happen-mediumdi Renato Venturelli.
C’è una piccola sorpresa anche nella retrospettiva di fantascienza del 33° TFF, per il resto dedicata a titoli ampiamente conosciuti, la cui presenza al festival sembra soprattutto voler offrire a un pubblico di ventenni la possibilità di vederli proiettati su grande schermo.

Fra i trenta film, ce n’era però anche uno che forse è realmente da riscoprire, pur essendo da sempre un cult negli Stati Uniti: “Wild in the Streets” (1968) di Barry Shear, uscito in Italia come “Furore nelle strade” o “Quattordici o guerra”, liquidato dai dizionari M & M con una stelletta e mezza e giudizi pressoché identici (ma l’altra M, il Maltin, gliene dava due e mezza su quattro…). A lasciare scettici è probabilmente il fatto che un argomento potenzialmente politico venga invece raccontato secondo un’ottica assolutamente pop, visto che in pratica “Wild in the Streets” ci racconta il ’68 dal punto di vista dell’AIP, l’American International Pictures. Cosa che oggi ce lo rende molto più appassionante e divertente rispetto a tanti altri film più seriosi dell’epoca.

Hal Holbrook vi interpreta un politico che cerca di cavalcare il nuovo facendo abbassare a 18 anni l’età minima per il diritto di voto. “Se a diciotto anni si può morire per gli Stati Uniti in Vietnam, vuol dire che a quell’età si ha anche il diritto di votare”. Ma per lanciare la sua campagna elettorale ingaggia un cantante giovanissimo già abituato a vedere il mondo dalla parte degli adolescenti: e la pop star ne approfitta immediatamente per rilanciare, chiedendo nei suoi concerti il diritto di voto per i quattrodicenni, trascinando in piazza i teenager di mezza America, portandoli tutti all’assalto di una Washington “addomesticata” a suon di LSD, puntando alla vittoria elettorale in prima persona.

Alla fine, sarà un trionfo totale, con i ragazzini al potere e gli ultratrentacinquenni catturati uno per uno, caricati sui bus e rinchiusi in campi di concentramento a base di dose massicce di LSD rieducativo. E il film è quasi un manifesto AIP, fin dall’inizio: immagini allegramente pop, il protagonista che esalta nelle sue canzoni il popolo degli under-25 (“ormai siamo il 52%, la maggioranza”) e osserva come ormai il mercato sia in gran parte dedicato a loro, alla nuova categoria dei giovani, guarda caso proprio quella che da un decennio costituisce le fortune dell’AIP.

Scritto dal Robert Thom dei futuri cormaniani “Anno 2000: la corsa della morte”, “Il clan dei Barker” o “Crazy Mama”, il film è tra l’altro diretto da Barry Shear, regista all’epoca trascuratissimo ma che meriterebbe più di un recupero, da “L’idolo” al sottovalutato “Rubare alla mafia è un suicidio”. Da rivedere, goderselo e ripensarci su, insomma, anche per il taglio debordante e disinvolto con cui ci parla dell’America di quegli anni e del suo cinema. Con tanto di esaltazione di una società totalmente “edonistica” che suona bizzarramente premonitrice; e con Shelley Winters madre cinica e terribile, nel suo periodo d’oro a cavallo del 1970.
(renato venturelli)

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