di Oreste De Fornari.
Che differenza passa tra un film e un telefilm? L’ultimo regista a cui rivolgere la domanda è Don Siegel, autore di film di genere entrati nel culto: convenzionali ma non troppo, girati benissimo, pieni di ritmo e non privi di trovate eccentriche. Ma anche diversi telefilm possono vantare un ritmo incalzante, un look smagliante e qualche trovata originale (vedi Miami Vice).
Dunque Crimine silenzioso, tra i suoi più reputati, narra di un traffico di stupefacenti tra il Giappone e San Francisco, dove l’eroina viaggia dentro bamboline giapponesi, nascosta nel bagaglio di turisti che la trasportano a loro insaputa. Il punto di vista alterna quello dei criminali a quello dei detective della polizia.
Volendo enumerare le trovate notevoli va citato il fulmineo incipit che precede i titoli di testa. All’aeroporto un facchino attraversa l’atrio di corsa, getta un pacco dentro un taxi poi corre via, il tassista parte a tutta velocità e travolge il poliziotto che tentava di fermarlo, quest’ultimo spara e colpisce il tassista, la macchina va a sbattere. Bilancio: due morti.
Memorabili certe battute del gangster più anziano (Robert Keith)che esorta il compare più giovane (Eli Wallach) a esprimersi correttamente e a usare il congiuntivo, inoltre dimostra una curiosa vocazione letteraria che lo spinge ad annotare le ultime parole delle sue vittime.
Tra gli sfondi ricorderei la pista di pattinaggio sul ghiaccio dei Bagni di Sutro in cui precipita il boss in sedia a rotelle, spinto da Eli Wallach (possibile ricordo del Bacio dell’assassino), oltre a un ponte interrotto, ch fa venire in mente il ponte Morandi. E ancora un bagno turco, teatro di un omicidio, e un acquario, come nella Signora di Shangai di Welles .
Anche Squadra omicidi, sparate a vista, somiglia a un telefilm, più ampio e più curato del normale. Storie parallele di un detective (Richard Widmark), che si è lasciato rubare la pistola e ha 72 ore per ritrovarla, e del capo della polizia (Henry Fonda), il cui amico e collaboratore (James Whitmore) è coinvolto in un caso di corruzione.
Apprezzabili certe figure minori come la moglie del protagonista (Inger Stevens) che si sente trascurata e sta per cedere alle avances di un collega del marito (ma desiste in tempo). Anche qui uso magistrale degli spazi urbani, interni angusti e ampie terrazze con vista sulle strade di San Francisco.
Ideale per misurare gli incerti confini tra film e telefilm, tra originalità e conformismo, tra prototipo e serie. Anche l’anno è al confine tra due stagioni del cinema americano, per convenzione il 1968 è l’anno della rottura dei codici.
Il poliziesco più noto di Siegel è Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo, per la presenza di Clint Eastwood e per il tono di approvazione con cui sono descritti i metodi brutali usati dall’ispettore. Da ciò la reazione ostile della critica di sinistra (eccettuata la coppia Ciotta Silvestri del “Manifesto”) a cui il Callaghan di Clint Eastwood sembrò un tipico rappresentante della maggioranza silenziosa. Poi sarebbe venuto, ancora più esplicito nella stessa tendenza, Il giustiziere della notte di Michael Winner.
Personalmente dovendo, per ipotesi, confezionare uno spot che illustri la normale, quotidiana efficienza della polizia di Los Angeles, come la descrive Don Siegel, preleverei quella breve scena di Crimine silenzioso, ben poco spettacolare e improntata all’understatement, in cui un agente a cavallo, addetto a dirigere il traffico, incuriosito dalla targa dell’ automobile su cui viaggiano i gangster, si avvicina a un telefono della polizia e informa la centrale, senza scendere da cavallo e senza meritare un primo piano.
Eppure il capolavoro di Siegel, ammesso che sia lecito usare un termine così enfatico per un autore così sobrio, probabilmente non è un poliziesco, ma un film di fantascienza, L’invasione degli ultracorpi, dove gli abitanti di una città della California vengono sostituiti gradualmente da dei cloni, trasportati su enormi baccelli di possibile origine extraterrestre. Gli ultracorpi assorbono la mente dei viventi, anche se sono privi di emozioni. Cult movie della fantascienza a basso costo, senza divi, senza colori e senza effetti speciali (quasi un telefilm) dove tutto è all’insegna dell’”impossibile ma plausibile”: umani e replicanti sono esteriormente identici, tuttavia solo gli umani sono autentici, hanno un’anima, mentre gli alieni sono delle imitazioni, vuote, senza spessore, e questo confronto fra originali e copie, tra uomini e no, rafforza il verosimile (tendiamo a dimenticare che anche gli originali sono interpretati da attori). Il suspense consiste nel temere e poi nello scoprire l’identità degli invasori prima che sia troppo tardi. C’è, all’inizio, un bambino che giura che sua madre non è sua madre, e suo zio non è suo zio. Alla fine mentre il protagonista bacia la moglie lei si rivela un ultracorpo…
Possibili letture in chiave di guerra fredda . Gli ultracorpi sono comunisti (simili a noi ma senza cuore, e ci stanno invadendo) o sono maccartisti? Più originale l’ipotesi di Emmanuel Carrère che nel Regno ha citato il film di Siegel per dare un’idea di come agivano i primi cristiani: ”mimetizzati tra gli amici, tra i vicini di casa, indistinguibili. Quei mutanti volevano divorare l’impero dall’interno, prendere il posto dei sudditi con un processo invisibile. Ed è quello che hanno fatto.”













