Bianco e Nero n.600: “Cinema e medioevo”

di Gianmarco Cilento.

E’ in libreria dal 5 luglio il seicentesimo numero di Bianco e Nero, quadrimestrale edito dal Centro Sperimentale di Cinematografia con le Edizioni Sabinae. Il tema di questa nuova avventura della rivista è dedicato ai rapporti tra la storia medioevale e il cinema, ma non solo. Il volume, attraverso una serie assortita di saggi, spazia anche su quegli universi letterari (come i libri di J.R.R. Tolkien ad esempio) che, in un modo o nell’altro, possono essere letti come metonimia del medioevo.

Curato da Davide Iacono, Riccardo Facchini e soprattutto da Franco Cardini (uno dei più autorevoli storici del medioevo del nostro paese), il numero è anche, stando alle parole di Felice Laudadio, il viaggio in un “fascinoso passato tra storia e cinema”. L’idea del volume è tutta del prof. Cardini, voce arguta e di grande valenza sociopolitica. Forte della sua esperienza da membro del CdA di Cinecittà Holding tra il 1996 e il 2002, Cardini si pone come un profondo conoscitore della cultura medioevale all’interno di un discorso validamente cinematografico, tutt’altro che retorico o parziale.

I temi sono tanti: dal cinema religioso ai “decamerotici” trash dei primi anni ’70, epigoni de Il Decameron di Pasolini ricostruiti con molta cura da Marcello Garofalo, da Re Artù al cinema ambientato ai tempi delle crociate (anche qui molto esaustiva l’analisi di Antonio Musarra), per passare alla monumentale Giovanna d’Arco dreyeriana. Il volume spazia anche, logicamente, su film che raccontano il medioevo in forme dissacranti, comiche, eversive, apparentemente sacrileghe. Da Monty Python e il Sacro Graal, a Dagobert di Dino Risi, fino a Bill & Ted’s Excellent Adventure l’elenco sarebbe lungo. Ma la parte più interessante, come al solito, è quella riservata alle interviste. Raccontano le riprese di film a tema medioevale lo scenografo Francesco Frigeri, il costumista Maurizio Millenotti, ma anche Pupi Avati, che nel 1993 ha diretto Magnificat, film ampiamente da rivalutare, quindi I cavalieri che fecero l’impresa (2001) e, ultimamente, un film su Dante e Boccaccio di prossima uscita. “Pur essendo un periodo estremamente violento della storia dell’uomo”, afferma Avati a proposito del medioevo, “la sacralità accompagnava tutto. E questo elemento mi riportava alla cultura contadina nella quale sono nato, perché da bambino, sfollato per i bombardamenti, ho passato alcuni anni in campagna con la mia famiglia e lì si è formata la mia idea del mondo. La cultura contadina rende possibile l’impossibile. Si basa molto sul fantastico”.

Nelle conclusioni Cardini osserva, “non tutta la storia è solo cinema, certo; né il cinema è solo storia. Ma della storia il cinema è da oltre un secolo un cliente privilegiato”. Parole che fanno capire quanto il cinema possa essere, storiograficamente parlando, uno strumento molto più universale di alcuni pretestuosi studi pseudo/accademici o, peggio ancora, tautologici.

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