di Renato Venturelli.
“Attori? Ve ne sono cento. Andate nei cinema rionali, dove si fa l’avanspettacolo, dove si producono compagnie di varietà che si chiamano Bis, Rataplan, Piero Pieri o Billi, Vanni, Scarpetta, o che so io, e ditemi se il film comico in Italia ha bisogno di questi adorabili guitti o di Besozzi e di Coop. Il teatro italiano, dopo Petrolini, è soltanto nel varietà. E il cinema attingerà lì i suoi volti emaciati, o le facce enormi, o gli occhi roteanti”.
Alla fine degli anni Trenta, gli attori giusti per il cinema italiano Zavattini non li cercava né a teatro né in strada, ma nell’avanspettacolo e nel varietà. Lo dice in una conferenza su Charlot tenuta a Imola nel 1937 e lo ribadisce più volte negli articoli riuniti nel volume I sogni migliori (Cinema Sud ed., 315 pp, 18 euro), dove Orio Caldiron ha raccolto per la prima volta quanto Zavattini scrisse sul settimanale “Tempo” tra il 1939 e il 1941.
Le recensioni cinematografiche prendono il via il 1 giugno 1939, l’ultimo pezzo è del 29 febbraio 1940. Za rispetta Camerini (“è il primo regista italiano che ha raggiunto uno stile”), se la prende con Max Neufeld (“è una vecchia zia di provincia che racconta con molta ipocrisia”), ritiene che “i grandi film sono nati da un uomo soltanto”, auspica “che si vada, com’è nei sogni, sempre più verso l’unità: non solo il regista sarà lo sceneggiatore ma anche il tanto obliato montatore”.
Ma si esalta soprattutto per gli attori e le attrici. E in particolare tifa per l’affermazione di un cinema comico italiano. All’uscita di Animali pazzi e di Imputato, alzatevi! sostiene che Totò e Macario possono tranquillamente essere aggiunti alla lista dei grandissimi comici (“l’avvenire è nelle mani di Macario”). “Gli attori ci sono (…) il varietà per il suo tipo di recitazione vicino alla commedia dell’arte è quello che alimenta e alimenterà il cinematografo direttamente”.
E chiede anche un po’ più di eccitazione. “Evviva il crepitio delle mitragliatrici, l’urlo nel buio, gli inseguimenti delle automobili, ma cerchiamo i volti fuori dal teatro, gente che si sporchi di fango e olio senza paura (…) Noi cosiddetti intellettuali siamo brava gente, in fondo. Non vogliamo sempre come crede il produttore pellicole noiose, wagneriane: ci divertiamo alle avventure e siamo contentissimi quando un attore dà quei secchi colpi di randello sulla testa dei ribaldi”. Si lamenta anche quando “Paola Barbara e Silvana Jachino lasciano intravedere bellissime forme troppo fugacemente. Lasciateci divertire, io non sono vecchio e affermo che il nudo, espresso con saggezza, sarebbe apprezzato nei nostri film come lo apprezziamo nei film stranieri”.
Dopo le recensioni cinematografiche, Zavattini prosegue la collaborazione a “Tempo” con una serie di articoli proprio sul varietà, e la seconda parte del volume riguarda gli scritti che vanno dal marzo 1940 al gennaio 1941, con elogi di Fabrizi, Totò, Billi, Nino Taranto, dell’avanspettacolo in sé. Più altri saggi sparsi: da “I pensieri di Totò” (1940) a “Tutto può diventare cinema” (1942) col suo elogio del comico italiano.
Quasi tutti gli articoli erano finora inediti in volume, a cominciare da quelli usciti su “Tempo”. Con una lunga ed esaustiva introduzione del curatore Orio Caldiron, una dettagliata cronologia e un ampio repertorio fotografico: volume fondamentale non solo per completare la conoscenza di Zavattini, ma anche per comprendere tante altre cose sul cinema dell’epoca. Compresa la stima, tanto per fare un esempio, da cui era circondato un film oggi dimenticato come Delitto senza passione di Ben Hecht e Charles MacArthur.