Lisa Gastoni si racconta

di Gianmarco Cilento.

Per almeno dieci anni è stata tra le protagoniste più amate di un cinema italiano che sapeva coltivare la passione e l’erotismo andando al tempo stesso nel profondo dei personaggi. Ma Lisa Gastoni non è stata solo Grazie zia e L’amica, La seduzione e Labbra di lurido blu, Claretta Petacci e Scandalo: la sua carriera spazia dagli anni ’50 a oggi, dall’Inghilterra di Val Guest a Cuore sacro di Ozpetek, da Joseph Losey a Totò. E anche se non ama molto ricordare, perché preferisce vivere il presente, abbiamo rievocato con lei alcune tappe fondamentali della sua carriera: compreso ciò che poteva essere e non è stato.

Lei esordisce al cinema già negli anni cinquanta, con alcuni film girati nel Regno Unito

La mia carriera ha ovviamente avuto la svolta solo in Italia e nel decennio successivo. Io sono ligure, di Alassio, da padre italiano e madre irlandese. Da ragazzina ho vissuto in Inghilterra, dapprima in collegio, poi per tutti gli anni dell’adolescenza. In Italia sono tornata soltanto nel 1962. Per questo parlo benissimo italiano e inglese. L’irlandese no, mia madre lo parlava, ma io non mi sono mai decisa a impararlo “che ci faccio?” pensavo… In quel periodo ho anche cambiato il mio cognome. In realtà mi chiamo Gastone, ma non mi è mai piaciuto, e mi sono fatta sempre chiamare Gastoni. Negli anni cinquanta a Londra, dove ho frequentato anche l’università per un anno, ho iniziato a prendere parte ad alcuni film, sia per la televisione che per il cinema.

E nel ’62, anno del suo rientro in Italia, incontra Joseph Losey, che la dirige in ‘Eva’…

Ricordo piacevole quello con Joseph. Era un uomo intelligente, ma anche molto riservato. Di poche parole diciamo… Ci incontrammo a Venezia, dove mi invitò nella sua suite per parlarmi del ruolo che aveva intenzione di assegnarmi.

L’anno dopo recita accanto a Totò ne ‘Il monaco di Monza’. Cosa voleva dire lavorare con il Principe De Curtis?

Era un tipo molto particolare, che si era cucito addosso questo personaggio che tutti conosciamo. Non avevo visto i suoi film in precedenza, avendo vissuto in Inghilterra. Sul set è stato molto generoso anche se, devo dire la verità, non è mai nata una vera e propria confidenza tra noi. Nel film recitavano assieme a lui Nino Taranto e Macario. Infilarsi tra questi tre era un’impresa, anche perché non c’era copione che tenesse! Voglio dire, a ogni ciak cambiava il dialogo. La sceneggiatura c’era, ma veniva del tutto ignorata da quei tre grandi comici, e io dovevo infilarmi come potevo all’interno di queste loro variazioni, sennò non mi facevano dire una parola! Dopo due giorni di lavorazione sono diventata più ‘prepotente’ e dicevo anche io qualcosa di improvvisato (ride). Poi ho rivisto Totò nel 1967, alla consegna dei Nastri d’Argento, lui per Uccellacci e uccellini, io per Svegliati e uccidi. Prima di ricevere il premio mi confidò “scendiamo le scale insieme, perché non ci vedo bene. Tanto lo so che mi premieranno per ultimo!”. Era molto elegante e gentile…

Vero che lei non ricorda molte cose della sua vita? Lo ha detto in molte interviste…

Non tengo in serbo i ricordi, se ricordo qualcosa è per caso. Mi lascio le cose alle spalle, infatti anche mio marito mi rimprovera sempre per questo “sei un frana, come fai a non ricordare certe cose?”. Ma io sono così, vivo il presente… Non sono una nostalgica.

La svolta è avvenuta appunto con ‘Svegliati e uccidi’ (1966) di Carlo Lizzani, ma il vero successo popolare forse è sopraggiunto con ‘Grazie zia’ (1968) di Salvatore Samperi, con il quale ha modulato un’immagine maliziosa di matura seducente

Esatto. Ricordo che molte recensioni dicevano “abbiamo creato una nuova attrice… non una diva per come la intendiamo noi, ma una vera attrice!”. Beh, prima di questi film avevo girato quasi solo film in costume (quelli della Hollywood sul Tevere per dire). Le parti erano quasi sempre le stesse: la principessa, la regina…

Tra quei film uno piuttosto interessante è ‘L’uomo che ride’ di Sergio Corbucci

Si, che era lo stesso regista de Il monaco di Monza poi. Non credere, era uno vigoroso, sapeva quello che faceva! Il film era tratto dal romanzo di Victor Hugo, ma del plot conservava davvero poco, al massimo lo spunto di partenza. Recitavo in coppia con Jean Sorel, che era già sposato con Anna Maria Ferrero. Lei era un po’ gelosa, stava in camerino con lui, perché aveva paura glielo rubassi. Ma a me di Sorel non importava nulla (ride). E un giorno le hanno fatto uno scherzetto… Lei era stata fidanzata in precedenza con Gassman, e hanno fatto mettere a Sorel non la maschera di ferro che avrebbe dovuto indossare nel film, ma una maschera con il viso di Gassman. E’ andata su tutte le furie!

Poi è arrivato ‘L’amica’ (1969) di Lattuada, altro film interessante

Come no! Io penso che Lattuada abbia dato un enorme contributo al nostro cinema. Era un vero professionista. Ricordo ancora che, essendo un po’ basso di statura, si era fatto procurare una cassetta di legno del Bulzoni sulla quale si metteva accanto alla macchina da presa per vedere da un punto più in alto. Adesso tutto è cambiato, ma una volta il regista doveva stare per forza accanto alla mdp. Finiva il ciak e vedevi subito la sua espressione, che ti faceva capire se eri andata bene o male. Adesso no, oggi un regista ti guarda dal monitor all’interno di un capannone, ma quando ti guardavano negli occhi da dietro la cinepresa era molto più bello.

Cosa le manca di più degli anni sessanta?

La gentilezza e l’eleganza. Oggi abbiamo perso tutto. Non penso torneranno più tempi simili.

‘Maddalena’ del 1971 è, a mio avviso, una delle cose più belle e assurde che lei abbia mai girato…

Beh, stiamo parlando di Jerzy Kawalerowicz… un grande intellettuale, rispettato da molti. Il film era appunto particolare, strano, tutto pieno di questo romanticismo polacco. Ho molte foto del set a casa, le ho anche riviste di recente. Poco dopo ho girato La seduzione, tratto da un bel romanzo, Graziella del grande Ercole Patti.

Ne ‘La seduzione’ vedo uno dei suoi ruoli più maturi…

Certo, ma ne ho fatti parecchi, era il periodo. Dopo quello sarebbe venuto Mussolini, ultimo atto, nel quale vestivo i panni di Claretta Petacci, e che segnava il mio ritorno con Lizzani, che continuo a ritenere un regista con la R maiuscola. Con lui facevi tutto con rigore e disciplina, e poi quel film ha avuto molto successo anche in Inghilterra… Dello stesso periodo anche Amore amaro, diretto da Florestano Vancini, che è secondo me il più grande di tutti di quelli che abbiamo menzionato finora!

Vancini?

Si, e poi quel film ha ricevuto molti premi, critiche positive a parte…

‘Labbra di lurido blu’ è un altro piccolo gioiello del cinema italiano. Certe scene di puro erotismo scavalcano la poesia

Diciamo che mi buttavo in questi film con tutta me stessa. Ci mettevo la mia passionalità, i miei istinti, la facevo a modo mio diciamo.

Il suo ultimo grande successo è stato invece ‘Scandalo’ (1976), con un terribile Franco Nero

Di lui ho un ricordo strepitoso; stavamo girando a Cinecittà e mi dice “facciamo un gioco, mi metto per strada e ti faccio vedere quanti autografi mi chiederanno!”. Siamo usciti dalle mura di Cinecittà, ci siamo messi sul marciapiede… la gente passava indifferente! (ride). L’ho consolato dicendogli “tu sei una leggenda Franco, che te ne frega se non ti riconoscono, magari questi passano per strada e hanno i loro guai in testa!”.

E a lei… quanti autografi le chiedevano?

Tanti! Giravo a bordo della mia Mercedes decapottabile con un amico, e mi fermavano eccome… mi inseguivano!

Dopo ‘L’immoralità’ (1978) di Massimo Pirri e ‘La celestina’ uno spettacolo teatrale, nel 1979 lei abbandona le scene. Come mai?

Non volevo più fare l’attrice. I ritmi cominciavano a divenire stressanti, con queste alzate alle sei del mattino, dopo un po’ ne risenti… E poi volevo stare con mio marito, nel frattempo mi ero sposata. Ho già raccontato l’episodio alquanto spiacevole con Cecchi Gori; mi voleva a tutti i costi, ma io non ho ceduto, nonostante i regali che mi faceva. Lontana dal mondo del cinema ho comunque coltivato un sacco di interessi, tipo la pittura, alla quale mi ero dedicata sin da ragazza. Avevo bisogno comunque di creare, anche in forma privata. Adesso ho smesso, credo di aver fatto il mio dovere!

Ha continuato ad andare al cinema dopo il suo ritiro?

Non molto. Ho visto pochi film, ma interessanti.

E il ritorno è avvenuto solo nel 2005 con Ozpetek, dopo venticinque anni di silenzio assoluto

Ferzan mi aveva proposto questo ritorno sul set, inizialmente avevo rifiutato. Poi sono stata talmente tanto pedinata dai suoi agenti al punto di accettare. Ed è stata una bella intuizione quella di Ozpetek, anche perché da Cuore sacro in poi ho girato tante altre cose interessanti, tant’è che continuano ad arrivarmi copioni ogni giorno…

Mi sarebbe piaciuto vederla diretta da Antonioni o da Fellini!

Con Antonioni a dire il vero c’era stata una proposta, che mi sono permessa di rifiutare per girare un altro film. Ricordo ancora la disperazione dei miei agenti “ma sei pazza a rifiutare Antonioni?”. Non mi chieda di quale film si trattasse, purtroppo non lo ricordo… Con Fellini invece c’è stato un bel dialogo. Mi diceva “Lisetta, vieni che ti devo parlare, che sono in crisi d’astinenza”, per chiedermi “perché non vuoi lavorare con me?”, e io rispondevo “perché non capisco i ruoli che mi proponi, tu inventi lì per lì, dai delle tracce, e poi bisogna creare al momento!” (ride). Nei suoi copioni c’erano delle indicazioni, ma poi si inventava tutto, me lo confermavano anche i colleghi. E questa era la sua genialità, diversa da quella di Antonioni, che sicuramente era molto pragmatico, chiedeva agli attori molta precisione e rigore. Anche con Alberto Sordi avrei dovuto girare un film, me ne aveva parlato e l’idea mi era piaciuta al punto da chiedere anche alcuni cambiamenti… Poi non se n’è fatto nulla, nel senso che il film non è stato proprio girato. Occasioni mancate a parte devo dire una cosa: con i registi con cui ho lavorato mi sono comunque trovata bene.

 

 

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