di Renato Venturelli.
Critico militante di lunga esperienza, Alberto Castellano ha scritto per vent’anni su “Il mattino” di Napoli, collabora ad “Alias” del manifesto, è autore di numerosi libri tra cui una storica monografia su Clint Eastwood, pubblicata in tempi non sospetti, quando ancora costituiva un audace atto di militanza eastwoodiana.
Adesso raccoglie nel libro “Il cinema oggi: una riflessione” una serie di articoli scritti per la rivista “Diari di cineclub”, periodico indipendente on-line sostenuto dalla storica associazione del Cineclub Roma (1949), e quindi a sua volta luogo di una militanza cinefila che arriva da lontano.
Con esemplare chiarezza e concisione, Castellano affronta in dieci capitoli altrettante questioni riguardanti il cinema, la sua produzione e la sua fruizione, in un momento di profonda trasformazione e di conseguenti crisi d’identità come quello odierno.
Si parla di devices, di piattaforme, di doppiaggio, di Film Commission, delle discussioni di questi anni sul rapporto di Netflix con i festival o con le categorie di esercenti e distributori. Ma si parla anche della perdita di quella “dimensione emotiva” che caratterizzava le proiezioni in sala, e della caduta d’attenzione che peraltro riguarderebbe oggi non solo la visione dei film, ma anche la lettura di un libro o l’ascolto di un brano musicale (e di un programma televisivo…).
Il libro affronta inoltre le trasformazioni avvenute in questi ultimi anni nel pubblico o nell’insegnamento del cinema, e riflette sulla questione della critica nell’epoca in cui si è fatta meno istituzionale e più dispersa nei mille rivoli spesso amatoriali del web.
Non si tratta solo di fare una fotografia dell’esistente, perché i molti casi il libro prede posizioni molto nette e precise. Ad esempio a proposito del proliferare dei festival, sulla spinta di enti pubblici di tutti i livelli volti a privilegiare il finanziamento di eventi rispetto al lavoro in profondità compiuto dall’associazionismo: una riflessione che potrebbe condurre molto lontano, visto che anche la categoria dei critici cinematografici – indebolitosi il rapporto professionale con la carta stampata che offriva una serie di garanzie di autonomia rispetto agli interessi del cinema – rischia oggi di legarsi in modo troppo stretto all’abbraccio soffocante dei festival.
Un altro argomento di discussione affrontato dal libro riguarda poi l’allargamento della critica ad “esperti” di altre discipline, che se da una parte rientra in un ovvio e necessario dialogo continuo, dall’altra ha già provocato parecchi danni, con film valutati non tanto per il loro valore quanto per la possibilità di applicarvi i modo meccanico ragionamenti provenienti da altre discipline (ricordiamo tutti quanto ha faticato ad affermarsi una corretta lettura di Tarantino, soffocato per anni da vacue chiacchiere sul postmoderno, sul pulp e via elencando, anziché analizzato in modo più strettamente cinematografico).
Insomma, un libro che si pone come “una riflessione” ma che in realtà innesca una lunga serie di riflessioni: edito da Mimesis, 96 pagine, 8 euro.