Latitudine Italia – Il buio oltre la siepe

di Guido Reverdito.

Il blockbuster che non c’è. Tra i tanti effetti devastanti che il dilagare planetario del COVID-19 ha (con)causato spesso con disastrosi effetti domino se n’è registrato anche uno che ha involontariamente invertito una tendenza in atto ormai da più di un decennio nel mercato cinematografico italiano ma anche europeo.

Se per molti anni si è infatti assistito a un processo di lenta ma inesorabile fagocitazione del mercato da parte delle multisale responsabili della morte annunciata delle piccole sale indipendenti (solo poche delle quali, in quasi tutti i grandi centri, hanno avuto la forza di resistere ricorrendo a espedienti di varia natura), la ripartenza in settembre aveva fatto registrare un’inattesa inversione di tendenza rimescolando le carte in maniera imprevedibile.

Si è trattato di un bizzarro effetto domino. Le grandi corporation americane – preoccupate dal crollo di presenze in sala da entrambe le parti dell’oceano e convinte di poter scommettere su una vera ripresa a seguito della quale giocarsi le carte più importanti nel corso del prossimo anno solare – avevano infatti deciso di posticipare a tutto il 2021 se non addirittura anche al 2022 il rilascio di quei grossi titoli-evento dei propri cataloghi che avrebbero garantito un forte richiamo in sala alla riapertura in settembre.

E siccome i multiplex hanno da sempre perseguito una politica di scelte incentrate per la maggior parte su blockbuster del mercato americano, quando le major USA hanno deciso di bloccare le uscite e tenersi in soffitta i pezzi da novanta per metterli in campo al ritorno di uno straccio di normalità ovunque nel mondo, a soffrire maggiormente a seguito di questa discutibile operazione di marketing sono state proprio le multisale. Alcune delle quali, potendo usufruire dei benefici della cassa integrazione per i dipendenti e del denaro dei ristori governativi, hanno prima optato per non aprire per nulla in settembre, senza patire poi eccessivi contraccolpi a seguito del decreto di chiusura del 24 ottobre.

Tra novembre e dicembre avrebbero dovuto arrivare nelle sale importanti titoli italiani destinati ad aggregare fasce di pubblico diverse per anagrafe ed estrazione socioculturale. Parliamo del più volte rimandato Si vive una volta sola di Carlo Verdone, pronto per un approdo in pompa magna nelle sale già a fine febbraio e ora rimandato a primavera dopo un primo annuncio di uscita a fine novembre. È però anche il caso di Freaks Out, il secondo lungometraggio di Gabriele Mainetti atteso al varco dai moltissimi che hanno osannato il suo Lo chiamavano Jeeg Robot, ma che ha avuto una lavorazione tribolatissima spalmata addirittura dal 2018 alla fine di quest’anno e che impedirà al film di partecipare al Festival di Berlino (come previsto). Per non parlare di Diabolik dei fratelli Mainetti, che sulla base di un recente annuncio di 01 Distribution sarebbe stato previsto in uscita come regalo di fine anno il 31 di dicembre prossimo e che ora è difficile prevedere se potrà rispettare quella data nel caso – più che probabile – in cui la chiusura delle sale dovesse protrarsi fino a data da annunciare.

Il de profundis delle uscite mancate non riguarda però solo titoli di grande richiamo e per i quali c’era parecchia attesa anche se per motivi diversi, ma anche operazioni interessanti sfumate per la chiusura delle sale. Stiamo pensando, per esempio, a Il cattivo poeta, esordio registico di Gianluca Jodice nel quale un irriconoscibile Sergio Castellitto si cala nei panni di Gabriele D’Annunzio per un insolito viaggio negli ultimi anni di vita del vate. Ma anche dei sequel di commedie di successo: girato tra non poche difficoltà dovute alle molte prescrizioni sanitarie, a fine ottobre sarebbe stato in rampa di lancio il seguito di Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani (Ritorno a Coccia di Morto) con la collaudata coppia Cortellesi/Albanese nei panni rispettivamente della borgatara coatta e dell’attivista radical chic che si rincontrano a tre anni di distanza dalle scintille produttive del loro primo testacoda antropologico. E lo stesso dicasi per Ritorno al crimine di Massimiliano Bruno, secondo capitolo di quella che si può ipotizzare diventi una fortunata saga da commedia un po’ caciarona ma divertente, iniziata con Non ci resta che il crimine e che vede di nuovo in azione la banda di improvvisati ma picareschi delinquenti faidate con le facce di Marco Giallini, Edoardo Leo, Gianmarco Tognazzi e Alessandro Gassman.

Ma novembre ha visto rimanere fermi ai blocchi di partenza anche altri film che forse avrebbero potuto ritagliarsi qualche spazio in sala proprio per la già citata latitanza coatta del cinema a stelle strisce. Al già rimandato in data da destinarsi Cosa sarà di Francesco Bruni sono andati a fare compagnia Maledetta primavera (esordio registico visto alla Festa del Cinema di Roma della documentarista Elisa Amoruso che ha trasferito sullo schermo una porzione della propria adolescenza nella periferia romana), Fortuna di Nicolangelo Gelormini (che col precedente ha in comune non solo l’essere stato proposto a Roma in competizione, ma anche il tema di un’adolescenza tribolata). Un tema questo che, arricchito dalle tonalità cupe dell’horror e del thriller, tornava a dominare la scena anche in Shadows di Carlo Lavagna, in un piccolo ma interessante prodotto di genere girato però in inglese con attori scelti appositamente di madre lingua da un regista cosmopolita capace di guardare al mercato internazionale.

La minaccia di un Natale a sale chiuse ha per ora bloccato anche due commedie per famiglie previste in uscita in occasione delle festività e accomunate dal ruotare intorno – anche se a diverso titolo – alla figura di Babbo Natale. Se 10 giorni con Babbo Natale di Alessandro Genovesi puntava al richiamo del successo ai botteghini di 10 giorni senza mamma (con la riproposizione della coppia Lodovini/De Luigi e l’aggiunta di un Diego Abbatantuono irriconoscibile nei panni di un frastornato Santa Klaus che i due investono mentre sono in viaggio in camper verso la Scandinavia), ha il sapore amaro del mancato tributo postumo l’eventuale rimandatura di Io sono Babbo Natale di Edoardo Falcone: se uscisse in sala come era stato previsto dalla programmazione originale, chi ha amato il mattatore Proietti lo potrebbe vedere in azione in questa commedia agrodolce nella quale il grande attore romano – qui alla sua ultima apparizione sugli schermi prima della recente scomparsa – rivela di essere Babbo Natale sotto mentite spoglie all’ex ladro Marco Giallini capitato a rubargli in casa e poi ricondotto sulla retta via proprio dall’anziano signore che dice di essere quel che nessuno crederebbe sia.

Di fronte all’imprevedibilità di scenari futuri tanto incerti quanto fluidi in relazione alle previsioni che si potrebbero fare circa i destini delle sale nelle prossime settimane, alcuni distributori hanno deciso invece di non temporeggiare scegliendo la strada delle piattaforme in streaming pur di non vedere rimandata a data da destinare l’uscita di prodotti pronti in rampa di lancio. Prima di Natale gli abbonati di varie piattaforme hanno così avuto modo di vedere all’opera un altro monumento del cinema italiano, ovvero la splendida ottantenne Sophia Loren diretta dal figlio Edoardo Ponti in La vita davanti a sé, remake dell’omonimo premio Oscar francese del 1977 sulla scorta del romanzo di Romain Gary. E spiace che per un piccolo gioiellino del cinema di genere quale Il talento del calabrone sia stata scelta direttamente la strada del VOD perché è un insolito thriller da camera con un presunto bombarolo con la faccia di Sergio Castellitto che tramite un programma radiofonico tiene in scacco l’intera Milano minacciando di far brillare un ordigno per vendicare la morte del figlio suicida a sedici anni. Il giorno di Natale segnerà poi una data importante per Sky e i suoi milioni di abbonati: l’etichetta Sky Original (che finora ha legato la propria avventura produttiva a grandi serie di successo del calibro di Gomorra e The New Pope) amplia i propri orizzonti proponendo Tutti per 1 – 1 per tutti, seconda incursione a gamba tesa di Giovanni Veronesi nel mondo cappa e spada di Alexandre Dumas. A due anni dal successo di Moschettieri. La penultima missione, in questo sequel stralunato e improbabile come l’originale il quartetto di spadaccini all’amatriciana avrà di nuovo i volti di Favino, Papaleo, Rubini e Mastandrea e dovrà scegliere tra l’attaccamento al dovere e la sacralità cameratesca dell’amicizia di gruppo.

Ma il titolo che forse farà più dispiacere non poter vedere in sala è L’isola delle rose di Sydney Sibilia. L’autore e regista della fortunata trilogia di Smetto quando voglio, trasferisce qui sullo schermo una folle vicenda realmente avvenuta in quel laboratorio di idee e di voglia di trasformazioni radicali che fu la primavera del 1968. Quando un bislacco ingegnere bolognese decise di costruire una piattaforma galleggiante 500 metri al di fuori delle acque territoriali italiane di fronte a Rimini per poi proclamarla stato indipendente. Con tutte le (grottesche) conseguenze del caso in un paese già in subbuglio sociale per le rivolte giovanili in atto e l’obsoleta classe politica dell’epoca chiamata a confrontarsi con una situazione ai limiti del surreale.

L’elettrocardiogramma di questa respirazione a singhiozzo con titoli in naftalina e uscite di sicurezza in TV è una lista di filmoni internazionali che il mercato aspettava con ansia, conscio che il loro approdo in sala avrebbe potuto garantire a tutti una grossa boccata d’ossigeno. L’elenco è lungo e sembra una via crucis nel segno dell’assenza: su tutti domina il 25esimo Bond della saga, No Time to Die di Kary Fukuyaga. L’ultimo con Daniel Craig nei panni del più popolare agente segreto del mondo. Annunciato in arrivo lo scorso aprile e poi bloccato per le ragioni che tutti ben conoscono, era stato prima rimandato a novembre, mentre ora pare che verrà estratto dalle macerie dei rinvii solo a fine aprile del prossimo anno.

Lo stesso dicasi per un triplete di fantasy da urlo: Dune di Denis Villeneuve era atteso per novembre di quest’anno, finendo poi con l’essere traghettato a ottobre del prossimo dopo una promessa di uscita natalizia; il non meno atteso The Batman di Matt Revees con cast stellare avrebbe dovuto approdare in sala a marzo del 2020 dopo essere stato annunciato per gli inizi di ottobre di quest’anno; ma siccome le location principali sono a Liverpool (una delle città del Regno Unito più colpite dal virus), la lavorazione ha subito ulteriori intoppi e adesso pare che il film verrà messo in circolazione solo a inizi di marzo del 2022.

Stesso destino sembra essere riservato ai non meno attesi Black Widow e Wonder Woman 1984: si parla di maggio 2021 per il primo e di gennaio 2021 per il secondo (che negli USA – COVID permettendo – è annunciato nelle sale a Natale), ma tutto è in mente dei. Per non parlare infine del remake che Spielberg ha deciso di confezionare del musical cult West Side Story: non ostante la pubblicizzata irritazione e le reiterate proteste di uno dei più influenti guru del cinema americano, il film uscirà a Natale dell’anno prossimo, anche se in origine era previsto in cartellone per le festività natalizie di qui a due mesi.

A beneficiare del vuoto distributivo verificatosi a partire dai mesi del lockdown e purtroppo proseguito sulla stessa falsariga anche in quelli successivi erano state, almeno in parte, le piccole sale ma soprattutto il prodotto nostrano a chilometro zero e dintorni. È però innegabile che la lettura dei dati del box office dall’inizio di agosto alla seconda metà di ottobre non possa certo far sorridere se confrontata con lo stesso periodo dello scorso anno. Le cifre raccolte ai botteghini sono state talmente esigue che, nella maggior parte dei casi e con l’esclusione del blockbuster salvatutti Tenet e alcuni maratoneti di peso come Favolacce dei gemelli D’Innocenzo o Gli anni più belli di Gabriele Muccino, si è rischiato quasi di non arrivare nemmeno a coprire le spese di esercizio delle sale.

Ma tant’è il plotone dei titoli italiani era stato particolarmente nutrito per quantità e qualità. Il dato che però colpisce di più è la resistenza a livello di programmazione di titoli che, in altri tempi e in diverse condizioni di non emergenza come quella che stiamo vivendo al presente, avrebbero avuto vita breve e sarebbero stati schiacciati dalla concorrenza dei pesi massimi arrivati dal mercato USA. O non sarebbero approdati nemmeno nella maggior parte delle sale. Ma proprio qui sta un elemento a sorpresa che giustifica almeno in parte la buona salute dimostrata dal cinema italiano nelle sale tra settembre e ottobre e che avrebbe dovuto far riflettere prima di prendere decisioni troppo precipitose.

Questa favorevole congiuntura di cui alla riapertura settembrina il cinema italiano di qualità aveva potuto beneficiare in assenza del prodotto americano non ha infatti avuto alcun peso quando a fine ottobre si è dovuto scegliere quali settori sacrificare. E il rischio adesso è che salti anche il Natale. Ovvero la tradizionale gallina dalle uova d’oro che ogni anno regala all’industria del cinema quell’ossigeno che ormai da parecchie stagioni le viene sottratto dalla concorrenze delle piattaforme in streaming, troppo economicamente competitive e allettanti per non fare breccia presso quelle fasce di pubblico che, per svariate ragioni sociali e di bilancio (ma anche di intervenuta abitudine alla visione domestica per la lunga lontananza forzata dalle sale), sono chiamate a scegliere tra il costo di un ingresso in sala e l’equivalente importo per un mese di abbonamento che garantisce però una serie infinita di forme di intrattenimento audiovisivo da godere comodamente e in sicurezza dal divano di casa.

 

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