ODESSA OIFF 2019 – Intervista a Mike Leigh

di Massimo Lechi.

Ospite atteso – e conteso, specie dai media locali – della decima edizione dell’Odesa International Film Festival  (12-20 luglio 2019), Mike Leigh è stato accolto in Ucraina con tutti gli onori spettanti a uno dei massimi cineasti europei viventi. Piccola ma non certo poco attraente la retrospettiva a lui dedicata dagli organizzatori. A coprire gli oltre cinquant’anni di una carriera cinematografica contrassegnata da incassi eccellenti, recensioni lusinghiere e messe di riconoscimenti, tre film emblematici di un percorso registico nel quale il dramma sociale si è alternato all’opera in costume, l’intimismo all’indignazione politica, la tragedia più cupa alla commedia dolceamara: Naked (1993), Segreti e bugie (1996) e Peterloo (2018). Se i primi due, vincitori rispettivamente del premio per la miglior regia e della Palma d’oro a Cannes, si sono imposti sin da subito all’attenzione del pubblico e della stampa internazionali e sono oggi considerati tra i vertici del cinema britannico contemporaneo, Peterloo, presentato in concorso alla settantacinquesima Mostra di Venezia, non ha invece riscosso il successo commerciale auspicato dai finanziatori degli Amazon Studios e, dal punto di vista della ricezione critica, è di sicuro tra i titoli meno compresi della filmografia dell’autore di Another Year e Il segreto di Vera Drake.

Poderoso kolossal storico di 154 minuti, la maggior parte dei quali occupati da lunghi e appassionati dibattiti sulla riforma elettorale, Peterloo ricostruisce con precisione maniacale (superba, come sempre, la fotografia di Dick Pope) ed evidente partecipazione il massacro di civili inermi da parte dell’esercito avvenuto il 16 agosto 1819 in St. Peter’s Field a Manchester. Un episodio sanguinoso completamente dimenticato, attraverso il quale Leigh fotografa l’eterno conflitto tra il desiderio di cambiamento delle classi subalterne e l’istinto di autoconservazione dell’élite.

 

Quando penso al suo cinema, la prima parola che mi viene in mente è “intimità”. In Peterloo ho invece sempre avuto l’impressione che il coinvolgimento dello spettatore da lei cercato fosse diverso, più dialettico e in parte distaccato. In Peterloo si guardano i quadri e si ascoltano i discorsi.

Non so. Questa è la prima volta che rifletto su questo punto… (lunga pausa) Be’, ogni film è diverso, ogni film richiede cose diverse tanto dal regista quanto dal pubblico. Ma, a esser sinceri, non credo che in Peterloo io abbia chiesto agli spettatori di rispondere a ciò che è sullo schermo in una maniera fondamentalmente diversa rispetto ad altri miei film. Poi sì, alcuni hanno detto che in Peterloo ci sono un sacco di discorsi, ma ce n’erano molti anche in Naked, in realtà. Lo stesso Segreti e bugie – che viene proiettato qui in questo momento – finiva con uno speech molto eloquente. Io metto sullo schermo delle persone, e vi invito a guardare a loro come a delle persone, a provare empatia nei loro confronti e a “sentire” quello che succede. Quindi no, non me la bevo.

 

I monologhi di David Thewlis in Naked, però, erano sincopati, imprevedibili. La natura dei discorsi e dei dialoghi di Peterloo è oggettivamente diversa: sono quasi sempre esercizi di retorica.

Sì, certo, lo sono. Ma non sono solo quello. I personaggi vi invitano ad avere a cuore ciò che a loro sta a cuore. Non sono dei robot che fanno discorsi da cui loro stessi sono distaccati: parlano con passione, con convinzione, in base ai loro bisogni e alle loro preoccupazioni. Perciò davvero non penso di aver chiesto allo spettatore di rispondere in maniera diversa all’azione del film.

 

Peterloo mostra le varie parti della società inglese del Diciannovesimo secolo. E ognuna delle parti di questo mosaico – ogni classe – ha una lingua e una retorica che la distingue in modo netto dalle altre. Immagino che il lavoro di ricerca linguistica sia stato alquanto lungo.

Oh, è durato parecchio. Prima delle riprese abbiamo provato per sei mesi, ma a monte c’è stato il lavoro di ricerca, che è stato molto lungo. Innanzitutto però bisogna dire che le informazioni sugli strati sociali di duecento anni fa che mostro nel film sono molto accessibili. Sono ancora disponibili i giornali, ma anche le lettere private, i testi teatrali e i libri – tutte cose che possono essere consultate facilmente. E, altrettanto importanti, i vernacoli riportati. Sono vecchio abbastanza per ricordarmi degli anziani di Manchester, appartenenti alla classe lavoratrice, nati nel 1870 o nel 1880, che avevano conosciuto persone che, magari arrivando dal Lancashire, si erano ritrovate in città da bambini in occasione del massacro. Per me e soprattutto per alcuni degli attori coinvolti nella realizzazione del film quei dialetti esistevano ancora. Duecento anni fa è come l’altro ieri: il massacro di Peterloo è avvenuto meno di un secolo prima che nascessero i miei genitori.

 

Per lei non rappresentava un rischio portare sullo schermo questi dialetti e queste lingue?

Quella è un’altra questione…

 

Perché molti registi e sceneggiatori oggi, quando raccontano epoche lontane, hanno la tendenza a riadattare la lingua al presente.

Be’, come diciamo noi in inglese, è un po’ come buttare via il bambino con l’acqua sporca. Prendi per esempio questo film che ha vinto un sacco di premi in giro, La favorita… Personalmente lo trovo terribile. Voglio dire, non dimostra nessun interesse per l’accuratezza storica e la lingua che i personaggi parlano è contemporanea – anche se c’è chi sostiene che abbiano fatto così per una questione di accessibilità. Io invece credo che più ci si spinge verso l’accuratezza – o almeno verso quella che noi pensiamo sia l’accuratezza – maggiori sono le possibilità che lo spettatore percepisca il film come reale.

 

Quindi lei ha lavorato anche qui in una cornice realistica.

Sì, realistica, ma non naturalistica. La ricerca mi ha spinto verso l’essenza del realismo – ed è in fondo quello che ho sempre fatto. Però poi, al di là di tutto, sono abbastanza convinto che, se tornassimo indietro nel 1819, incontreremmo per la strada i veri personaggi e li troveremmo molto diversi da come li ho raccontati nel film. E’ solo la nostra idea di realtà, e non quella “vera”, scientifica.

 

E’ una contraddizione sicuramente interessante. Aggiungerei che, forse, proprio da questa difficoltà a rappresentare fedelmente il passato in termini di lingua e comportamenti è derivata la tendenza a intendere la ricostruzione storica come una sorta di travestimento più o meno plausibile. Per non parlare poi di Rossellini, uno dei padri del realismo cinematografico, che addirittura sosteneva la necessità di raccontare la Storia nella maniera più fredda e distaccata possibile da tutti i punti di vista… Il realismo filologico “totale” che lei ha perseguito in Peterloo è abbastanza raro.

Ah, sicuramente non è comune. Ma non è unico… (pausa) L’albero degli zoccoli, uno dei più grandi film di tutti i tempi, è sia un film in costume sia un film realistico – il più realistico che ci sia, di fatto.

 

Anche a livello visivo c’è stata una ricerca approfondita, come nel caso della lingua?

Non abbiamo fatto ricerche particolari. Contrariamente a Turner, che a livello visivo rimandava ai quadri di Turner stesso, in Peterloo non c’è una grande quantità di riferimenti. E il modo, molto pragmatico, in cui abbiamo lavorato è stato assolutamente lo stesso degli altri film: abbiamo fatto sì molti shot test, ma per esempio non abbiamo usato storyboard – nemmeno per la sequenza del massacro.

 

Il film è un lungo avvicinamento proprio alla sequenza finale che ha appena citato. E’ un bagno di sangue che, in un certo senso, viene percepito come inevitabile: lo spettatore sa che si arriverà lì prima o poi. E inoltre, essendo molto concitata, vola via in fretta. Le è mai passato per la testa, in qualche fase del processo scrittura, di non mostrare il massacro?

Non avrebbe avuto senso! Se non mostri il massacro, non racconti la storia. Quale sarebbe la logica di non mostrarlo? Chiedo a te.

 

Be’, ci sono tanti modi di raccontare un fatto storico. Mi chiedevo se avesse mai pensato di girarci attorno oppure di soffermarsi esclusivamente sulle varie cause che portarono alla tragedia. Si può benissimo raccontare una battaglia senza mostrare i cannoni fumanti.

No, sarebbe stato troppo… eccentrico.

 

Peterloo è uscito in un momento molto difficile per il suo paese. Ripensando all’episodio che lei racconta nel film e guardando a quello che accade oggi nel Regno Unito con il balletto della Brexit e la crisi delle élite, si ha la sensazione che la Storia stia ripetendo se stessa con poche variazioni.

Abbiamo iniziato a preparare il film all’inizio del 2014, e non avremmo mai potuto prevedere quanto folle sarebbe diventato il mondo – non solo la Gran Bretagna – in metà decennio. E’ davvero deprimente constatare come il tumulto politico al centro di Peterloo non si sia mai arrestato.

 

Lei mostra una società divisa in classi che non sono in grado di comunicare tra loro.

Ed è ancora così.

 

Ma non trova che le élite, a differenza del passato, cerchino adesso in tutti i modi di semplificare il dibattito pubblico per imporsi senza il ricorso alla repressione, come invece accade nel film?

E’ possibile che sia vero. Ma la questione che tu in realtà sollevi è: quanto sono davvero cambiate le cose? E io non sono sicuro che qualcosa sia cambiato.

 

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