“I morti non muoiono” di Jim Jarmusch

di Aldo Viganò.

Jim Jarmusch (classe 1953) prende alla lettera l’affermazione di Amleto – “Il mondo è fuori di sesto” (“The time is out of joint”) – fatta propria anche da Philip K. Dick nel titolo di un suo romanzo del 1959, coniugando questo celeberrimo verso in un film con gli zombies, attraversato da un rassegnato pessimismo sulla sorte stessa dell’intera umanità.

In tutta la prima parte (decisamente la migliore) di “I morti non muoiono” la cinepresa di Jarmusch segue i movimenti per le strade e nei boschi di Centerville, linda e sonnolenta cittadina dell’Ohio, di una auto della polizia locale di pattuglia.

Apparentemente si tratta solo di ordinaria amministrazione. Ma piccoli segnali suggeriscono l’imminente tragedia. Le giornate si allungano in modo anomalo. Gli orologi si fermano. I cellulari si spengono. Gli animali domestici scappano inquieti. I due poliziotti (gli ottimi Bill Murray e Adam Driver) avvertono che qualcosa di strano sta accadendo. Ma agiscono come se nulla fosse, continuando a dialogare tra di loro con sempre lo stesso tono “underplaying” anche quando la radio annuncia che gli avvenimenti osservati sono la conseguenza dello spostamento dell’asse terrestre (causato dall’azione dell’uomo) e nel cimitero i morti si risvegliano, iniziando ad andare alla ricerca di esseri viventi di cui cibarsi (o per trovare farmaci e connessioni wi-fi).

L’horror si manifesta nella vita quotidiana. Senza particolari colpi di scena. Così vanno le cose per i due protagonisti. Per Adam Driver, perché (come confessa candidamente, in un improvviso scarto narrativo) egli ha già letto la sceneggiatura del film. Mentre anche l’anziano Bill Murray, ormai prossimo alla pensione, sembra accettare tutto (anche questa imprevista rivelazione) fatalisticamente.

In entrambi, comunque, non c’è mai alcun gesto di ribellione. Come accade per gli zombies,  l’azione del film non sembra appartenere a loro. Neppure nella forma dell’imprecazione che apparteneva ad Amleto: “Destino infame che proprio io dovessi nascere per rimetterlo in sesto [questo mondo]!” (“O curse spite, that ever I was born to set it right!”). Quello che condividono è solo la rassegnata decisione di difendersi. Sinché sarà possibile, agli zombies va eliminata la testa, con qualsiasi mezzo.

E lo stesso fanno del resto anche tutti gli altri personaggi evocati da Jarmusch. Agricoltori o commercianti che siano. Solo una giovane collega in divisa (Chloë Sevigny) si dispera e trema di paura. Mentre la proprietaria della locale impresa di pompe funebri (Tilda Swinton) si aggira senza timore per il paese, facendo strage  degli zombies con la sua sciabola da samurai, almeno sino a che un’astronave aliena (c’è anche questo nel film!) non interverrà, per portarla via con sé.

Osservati da lontano dal misantropo Tom Waits, nel ruolo dell’eremita che vive nei boschi, questi avvenimenti sono raccontati come inevitabili, ma portati sino in fondo, dalla distaccata cinepresa di Jim Jarmusch. Quello che ne sortisce è una narrazione di genere “sui generis”. Un film tra il comico e il tragico. Un’opera d’autore capace di coniugare le più ovvie convenzioni del genere (i cadaveri che escono dalle tombe e il lento deambulare dei morti viventi) con gli ammiccamenti “meta” o con le agnizioni famigliari (tra i vivi e i morti della cittadina esistono antichi rapporti di amicizia o di parentela). Anche con le citazioni cinefile, le quali – pur rovesciate di senso – si collocano su una linea di continuità con il ritratto dei vampiri “radical chic”, che erano i protagonisti del precedente “Solo gli amanti sopravvivono”.

Come in molti gli altri film di Jarmusch c’è anche qui qualcosa di snob e di intellettualistico nel suo modo di fare del cinema. E forse anche per questo suo continuo spiazzamento il film è stato accolto con sospetto all’inaugurazione del festival di Cannes. Comunque, in un tempo dominato da immagini alla rinfusa o prive di consapevolezza, ben vengano anche questi suoi film che hanno il sapore di giochi da salotto. Tanto più se, come in questo caso, sono gestiti sempre con garbo e con perfetto controllo del mezzo linguistico utilizzato: sia nell’uso di una recitazione sapientemente tenuta sul filo che separa il dramma dalla parodia; sia nella composizione di belle inquadrature, capaci di suggerire interpretazioni sempre in grado di andare al di là della loro più banale apparenza, sia estetica sia ideologica.

 

I MORTI NON MUOIONO

(“The Dead Don’t Die”, USA 2019) regia e sceneggiatura: Jim Jarmusch – fotografia: Frederick Elmes – musica: SQÜRL – scenografia: Alex Di Gerlando – costumi: Catherine George – montaggio: Alfonso Goncalyes – interpreti e personaggi: Bill Murray (sceriffo Cliff Robertson), Adam Driver (agente Ronald Peterson), Tilda Swinton (Zelda Winston), Chloë Sevigny (agente Minerva Morrison), Steve Buscemi (Miller), Danny Glover (Hank Thompson), Caleb Landry Jones (Bobby Wiggins), Rosie Perez (Posie Juarez), RZA (Dean), Selena Gomez (Zoe), Iggy Pop, Sara Driver, Carol Kane (zombies), Tom Waits (Bob, l’eremita). distribuzione: Universal Pictures – durata: un’ora e 43 minuti

 

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