“Santiago, Italia” di Nanni Moretti

di Aldo Viganò.

Abbandonato – sembra ormai definitivamente (come già anticipavano i precedenti “Habemus Papa” e “Mia madre”) – l’uso della prima persona singolare cara ai suoi primi film con il personaggio di Michele Apicella, Nanni Moretti scopre a sessantacinque anni il piacere di mettere in scena un’opera declinata al plurale, realizzando questo convincente “Santiago, Italia”.

Un documentario coniugato sul volto degli altri e nel quale la sua presenza si riduce a un’iniziale inquadratura di spalle sullo sfondo dell’odierna capitale cilena, oltre che a quella in cui enuncia in modo fulmineo la negazione della propria imparzialità, interrompendo la richiesta di conciliazione avanzata da un militare di Pinochet condannato al carcere per sequestro di persona e pratica della tortura.

Alternando poche immagini di archivio alle molte testimonianze  di coloro che a vario titolo furono i protagonisti dei fatti storici, “Santiago,Italia” è un documentario dall’apparenza semplice e lineare. Un film strutturato in quattro capitoli che si susseguono cronologicamente.

La democratica conquista del potere, nel 1970, da parte dell’Unidad Popular del marxista Salvatore Allende. Il colpo di stato dell’11 settembre 1973, realizzato con la complicità della Cia in seguito alla nazionalizzazione delle miniere di rame. La feroce repressione della giunta militare di Pinochet, con tutto il suo corollario di violenze e di torture. Il ruolo dell’ambasciata italiana, nella persona di due giovani diplomatici, nel dare asilo e protezione ai dissidenti.

Moretti sceglie così di dar voce solo a coloro che quegli eventi vissero di persona. Ci sono un paio di registi cinematografici e un giornalista che per qualche giorno fu prigioniero nello stadio di Santiago; ma parlano anche i due addetti dell’ambasciata italiana che, in assenza dei superiori, si trovarono a gestire dapprima l’ospitalità e poi l’evacuazione dei ricercati, in un film in cui Moretti cede soprattutto l’inquadratura ai molti cileni che grazie a questa accoglienza trovarono rifugio in Italia. Nella “rossa” Emilia Romagna, ma anche nell’allora ospitale Milano con il suo hinterland.

Senza indulgere mai all’uso d’immagini calligrafiche e raramente allargando lo sguardo sul paesaggio (il giardino dell’Ambasciata o i posti di lavoro trovati in Italia dai fuoriusciti), Moretti concentra lo sguardo della sua cinepresa sui volti e sulla voce dei testimoni.

Nascono così racconti sul filo della memoria. Ricordi personali di quei giorni carichi di speranza, ma caratterizzati anche dalla paura e dal dolore. Parole sovente interrotte dalla commozione che impedisce di proseguire. Storie di donne torturate e di un’umanità resa solidale da comune pericolo. Nostalgia della patria lontana e gratitudine per il paese che ha dato loro accoglienza. Comunque, nulla che giustifichi l’accusa di “radical-chic” che qualche odierno potente ha voluto oggi fare a Moretti.

Tenendosi sempre lontano dalla tentazione di fare dell’ideologica, ma anche senza cercare mai di nascondere la funzione di specchio storico che i fatti di allora possono avere oggi nei confronti della mancanza di solidarietà dei cittadini e dei governi per coloro che a titolo diverso chiedono asilo in Italia e in Europa, Moretti mette così in scena uno dei suoi film migliori, caratterizzato com’è da un’autentica partecipazione emotiva, da un sincero struggimento per la possibile esistenza di un mondo migliore. Per il rammarico di quello che poteva essere, come di quello che è stato. Cosa che fa di “Santiago, Italia” un’opera che rivendica il diritto di essere dichiaratamente politica, ma nello stesso tempo di non essere, meritoriamente, mai imparziale.

 

 

SANTIAGO, ITALIA

(Italia-Francia-Cile, 2018) Regia e sceneggiatura: Nanni Moretti – fotografia: Maura Morales Bergmann –  montaggio: Clelio Benevento. distribuzione: Academy Two – durata: un’ora e 20 minuti

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