“Il codice del babbuino” di Davide Alfonsi e Denis Malagnino

di Antonella Pina.

Il codice del babbuino, ovvero “una strategia adottata dai babbuini che consiste nel coalizzarsi per punire i più deboli, isolandoli dal gruppo….”, è l’opera terza, dopo La rieducazione e Ad ogni costo, di Davide Alfonsi e Denis Malagnino, duo registico di Guidonia Montecelio. Un film indipendente a budget ridottissimo che prende spunto da un fatto di cronaca: nel 2009, a Guidonia, in seguito alla stupro di una ragazza, ci fu una sollevazione popolare, una pericolosa caccia allo straniero alla ricerca di una vendetta privata. “La privatizzazione della giustizia è un tema sempre più attuale, è un’idea aberrante ed è da questa che siamo partiti”.

Il codice del babbuino è un western metropolitano e notturno girato in larga parte all’interno di una vecchia Citroën che si muove per le strade degradate della periferia di Guidonia. La vettura appartiene a Denis (Denis Malagnino), un padre di famiglia quarantenne con saldi principi morali che lo hanno portato a rifiutare le slot machine all’interno del suo bar. Il rifiuto ha avuto come inevitabili conseguenze la chiusura del locale ed una consistente perdita di denaro. Denis contrae debiti, che nel gergo romanesco diventano i “buffi”, e cerca maldestramente di rimediare chiedendo prestiti ad uno strozzino senza scrupoli: il Tibetano (Stefano Miconi).

Una notte, mentre fiancheggia un campo rom alla guida della sua macchina, Denis si imbatte nel corpo di una ragazza quasi priva di vita a causa dalla violenza subita. Si tratta di Patrizia, la fidanzata del suo amico Tiberio (Tiberio Suma), un giovane di 25 anni dal carattere decisamente impulsivo. Convinto che gli autori dello stupro siano i rom del campo, Tiberio è deciso a farsi giustizia da solo. Denis cerca di ricondurlo alla ragione illustrandogli le possibili conseguenze di una giustizia sommaria e insieme iniziano a percorrere le strade della periferia cittadina alla ricerca dei veri aggressori. La tensione è alta e diventa incandescente quando i due si rivolgono al temuto boss del quartiere: il Tibetano.

Si entra in un vortice quieto di violenza: gambizzazioni, dita mozzate, corpi avvolti in teli di plastica e sepolti ancora vivi in fosse scavate con la pala. La polizia è assente, se ne parla, la si teme, da qualche parte certamente esiste, ma non si vede mai. La violenza è reale, è quella che trovi nelle periferie degradate. Il motore della Storia non è l’amore per Patrizia ma per il denaro o per la vendetta. Lo stile è neorealista. I riferimenti cinematografici sono molti: Bava e il suo Cani arrabbiati è il più immediato, ma ci sono anche tracce di Scorsese e De Palma. E forse Tarantino, per quell’ironia sotterranea che si palesa nel sigaro alla vaniglia fumato dal Tibetano; negli occhiali da sole che il boss del campo rom indossa quando si presenta agli appuntamenti in piena notte; nello stupro multietnico; nella diatriba circa il regista di Scarface – Scorsese o De Palma? – a cui il Tibetano mette fine con una perentoria affermazione: “….io quando vado al cesso leggo sempre il Mereghetti”. Un buon film  che risente di un budget molto ridotto.

Il codice del babbuino ha chiuso il piccolo Festival del Cinema Indipendente organizzato dal cinema Il Nuovo di La Spezia. Due giornate dedicate a pellicole distribuite da Arch film e Cinema Indipendente. Gli altri film in programma sono stati: La convocazione di Enrico Maisto, Controfigura di Rä Di Martino e Macbeth neo film opera di Daniele Campea. Il pubblico non ha partecipato numeroso, forse anche a causa delle temperature ormai decisamente estive. Silvano Andreini, l’organizzatore della rassegna, si è detto comunque soddisfatto ed intenzionato a ripetere l’esperienza in ottobre, con queste e altre case di distribuzione.

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