Festival du court métrage de Clermont-Ferrand 2018: 4 Rivelazioni alla Mecca del Corto

di Massimo Lechi.

Mercato, luogo d’incontro e di scambio, roccaforte cinefila, il Festival di Clermont-Ferrand  è la più importante manifestazione dedicata al cortometraggio in Europa. Qui, ogni anno, si ritrova un’intera comunità:  registi, produttori e selezionatori in cerca di contatti e, soprattutto, di film da visionare, promuovere e discutere. A loro si aggiungono gli spettatori locali e quelli – numerosissimi – provenienti dai vari angoli della Francia, per i quali il festival è un appuntamento fisso, una tradizione. Nel cuore dell’inverno, quando neve e vento gelido colpiscono la grande cattedrale immortalata da Rohmer ne La mia notte con Maud, la città si stringe attorno al suo festival ed è oggettivamente impressionante l’afflusso di pubblico.

Va da sé che la proposta cinematografica sia sterminata. Per i giornalisti e la maggior parte degli addetti ai lavori risulta pressoché impossibile seguire tutto, visto e considerato che Clermont-Ferrand vanta anche un Marché perennemente affollato, con stand nazionali e di singoli festival, più eventi paralleli, incontri, convegni, rassegne e omaggi. Il corto, poi, è sempre un’incognita, e la scelta di un programma, basata sul passaparola o determinata da un fotogramma sul catalogo, un piccolo azzardo. Questione di fortuna, insomma.

La competizione internazionale 2018, la trentesima della storia del festival, giunto invece alla quarantesima edizione, è stata caratterizzata da un livello piuttosto alto e da un’ampia varietà di stili, linguaggi, temi e approcci al mezzo. Accanto a diverse anteprime, anche lavori reduci da exploit nel circuito festivaliero, come l’estroso Copa-Loca del greco Christos Massalas, presentato a Cannes, A Gentle Night del cinese Qiu Yang, Palma d’oro proprio sulla Croisette, o Matria dello spagnolo Álvaro Gago, premiato a Sundance.

Difficile – e sostanzialmente inutile – cercare un filo conduttore nei quattordici programmi in cui era suddivisa la selezione, per un totale di settantacinque cortometraggi. I quattro titoli che seguono sono dunque segnalazioni frutto delle mie scommesse di spettatore perso tra le lunghe code della Maison de la Culture. Quattro casuali rivelazioni alla Mecca del corto.

 

État d’Alerte Sa Mère di Sébastien Petretti –  Corto di soli sei minuti, scritto e diretto con cinismo irresistibile da Sébastien Petretti e interpretato superbamente da Yassine Fadel e Ilias Bouanane. Due giovani belgi di origine maghrebina, seduti in un locale, vengono improvvisamente – e senza spiegazioni – arrestati dalla polizia. La macchina da presa li filma nelle varie fasi dell’arresto, del trasporto in centrale, dell’interrogatorio, della perquisizione e del rilascio finale, mentre però, per tutto il tempo, uno dei due racconta all’altro, in un crescendo rossiniano, il suo tentativo di portarsi a letto una ragazza. La totale indifferenza con cui l’esagitata coppia di ragazzi accoglie i soprusi delle forze dell’ordine è la palese e astuta metafora di una società che ha finito con l’accettare la violenza di stato e la limitazione sistematica e progressiva delle proprie libertà in nome della lotta al crimine e al terrorismo. Nel cupo e oppressivo stato di emergenza in cui si è chiusa l’Europa francofona non si può nemmeno più rimorchiare o mangiare un kebab in santa pace.

Magic Alps di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi – Unico corto italiano in competizione, ben accolto dal pubblico, Magic Alps ha come protagonisti un pastore afgano, giunto in Italia in cerca di asilo politico, la sua capra e il pubblico ufficiale (interpretato da Giovanni Storti) che, incaricato di risolvere il loro caso, non sa che fare dell’animale. Andrea Brusa e Marco Scotuzzi lavorano con delicatezza, senza cercare facili risate, effetti lacrimevoli o forzature, dando vita anzi a un realismo piano – seppur con tocchi qui e là fiabeschi – che ben si addice a questa piccola storia di amicizia e dedizione, tratta da un fatto di cronaca, in cui l’ironia di uno spunto quasi paradossale lascia presto spazio a un genuino senso di malinconia.

Tudo O Que Imagino di Leonor Noivo –  La talentuosa Leonor Noivo, produttrice dell’acclamato A Fàbrica de Nada di Pedro Pinho, racconta le peripezie amorose e i dilemmi esistenziali di André, un mulatto riccioluto di Alcoitão che nell’ultima estate prima dell’ingresso nell’età adulta si divide tra gli amici rapper, una splendida e timida adolescente africana e una borghese bianca dai grandi occhi. Sospeso tra fiction e documentario, in quella zona grigia ma fertilissima in cui amano muoversi tanti filmmaker italiani, Tudo O Que Imagino è un ibrido fascinoso, fotografato con la consueta bravura da Vasco Viana, che vale sia come romanzo di formazione sentimentale (i momenti di intimità del protagonista con le due ragazze sono resi con innegabile pudore) sia come affresco di un Portogallo povero, multietnico e periferico del tutto inedito. Un lavoro di spessore, cui presumibilmente farà seguito un esordio nel lungometraggio.

Puheenvuoro di Hannes Vartiainen e Pekka Veikkolainen – Una sintesi di appena nove minuti della storica seduta del 7 novembre 2016 del consiglio comunale di Tampere, in cui venne discussa l’approvazione della linea del tram. Ricorrendo solo a brevi spezzoni di discorsi dei vari consiglieri, Hannes Vartiainen e Pekka Veikkolainen offrono uno spaccato divertentissimo della politica finlandese, tra botta e risposta su improbabili statistiche, picchi di retorica, dichiarazioni lapalissiane e pratiche ostruzionistiche assolutamente esilaranti (memorabile il consigliere che legge i commenti social degli internauti per rallentare il dibattito). Un documentario di grande semplicità e immediatezza, tutto giocato sul montaggio, capace di strappare risate agli spettatori di ogni latitudine.

 

 

 

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