“La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro

di Aldo Viganò.

Al messicano Guillermo De Toro (classe 1964) piacciono le favole. Sopratutto quelle con i mostri. E ama raccontarle in modo realistico, quasi sempre mettendole in rapporto fantasiosamente con la Storia; anche se in “La forma dell’acqua” a far da sfondo alla favola dell’amore tra una donna e una bestia non sono più né la prediletta Guerra Civile spagnola (“La spina del diavolo” e “Il labirinto del fauno”) né le storie di fantasmi ricorrenti nella sua filmografia, bensì la rivalità, sempre retrò, tra gli Stati Uniti e l’Unione sovietica nella corsa alla conquista dello spazio.

Ecco allora che l’azione del suo nuovo film, che può già vantare tredici nomination all’Oscar, si svolge questa volta all’inizio degli anni Sessanta e ha come luogo privilegiato i sotterranei di un centro militare, dove gli americani hanno rinchiuso un lucertolone dall’aspetto umano, già venerato come una divinità nelle foreste dell’Amazzonia, con l’intento di utilizzarlo come cavia nella lotta per il primato scientifico con i russi. Ed è qui, appunto, che lo incontra per caso una donna delle pulizie (Sally Hawkins) da anni muta a causa di una ferita alla gola, la quale dapprima dona alla “bestia” (resa viva sotto il trucco dall’attore Doug Jones) la propria colazione a base di uova e le insegna il linguaggio dei segni; poi, se ne innamora, sino a decidere di mettere a punto il piano per restituirle la libertà.

In questa impresa “impossibile” la aiutano una collega di colore (la candidata all’Oscar  Octavia Spencer) e il vicino di casa “gay” (Richard Jenkins, anche lui in lizza per la statuetta come attore non protagonista), nonché una spia sovietica infiltrata che sembra però pronta a passare dall’altra parte. E proprio su questo intrigo dall’andamento “thriller”, ma gestito con sguardo alquanto distratto, Guillermo Del Toro costruisce un film che ha l’andamento di un melodramma soprattutto sentimentale.

Tutto inizia con una sequenza girata sott’acqua, cioè proprio nell’habitat da cui proviene il lucertolone – dichiaratamente pensato come una libera versione moderna di “Il mostro della laguna nera” di Jack Arnold (1954) – e dove torneranno infine i due protagonisti (la donna e il mostro) in una sorta di happy end che corona la loro storia d’amore, alla quale la regia non esita regalare anche un paio di sequenze esplicitamente erotiche.

Una favola moderna, pertanto. Un film romantico che Del Toro gestisce con ritmi e toni mediati direttamente dal musical, affidando a Michael Shannon il ruolo del cattivo, ma soprattutto puntando sulla solidarietà tra esseri viventi emarginati dal potere. Un’opera in fin dei conti un po’ ruffiana e compiaciuta, ma capace di mantenersi in bilico tra le ambizioni del cinema d’autore e la programmatica volontà di piacere alla massa degli spettatori (e soprattutto alle giurie dei festival e dei grandi premi internazionali).

Tutto questo fa di “La forma dell’acqua” un film che non merita di essere preso troppo sul serio. Né per i suoi pregi: Guillermo Del Toro gira in modo fluido e accattivante; né per i suoi difetti, tra i quali la fragilità dell’impianto storico e politico. Ma che comunque ne testimonia l’essenza di una pellicola curiosa ed eccentrica, impreziosita per i “cinefili” anche dalla citazione del cinema nel cinema: quella sala vuota sottostante il suo appartamento che la protagonista allaga riempiendo la vasca per il suo amato mostro.

Un film, questo “La forma dell’acqua” che si lascia vedere con piacere nell’immediatezza del suo svolgimento. Anche se altrettanto velocemente poi si può pure dimenticare.

 

LA FORMA DELL’ACQUA

(The Shape of Water, USA, 2017) regia e soggetto: Guillermo De Toro – sceneggiatura: Guillermo Del Toro e  Vanessa Taylor –  fotografia: Dan Laustsen – musica: Alexandre Desplat  – scenografia: Paul D. Austerberry – costumi: Luis Segueira – montaggio: Sidney Wolinsky. interpreti e personaggi:  Sally Hawkins (Elisa Esposito), Michael Shannon (col. Richard Strickland), Richard Jenkins (Giles), Doug Jones (la creatura), Michael Stuhlbarg (dott. Robert Hoffstetler / Dimitri Antonovich Mosenkov), Octavia Spencer (Zelda Delilah Fuller), Nick Searcy (gen. Frank Hoyt), David Hewlett (Fleming), Lauren Lee Smith (Elaine Strickland). distribuzione: 20th Century Fox – durata: un’ora e 59 minuti

Postato in Recensioni di Aldo Viganò.

I commenti sono chiusi.