“Logan – the Wolverine” di James Mangold

di Renato Venturelli.

Sorpresa! “Logan – the Wolverine” si presenta come il decimo film della serie X-Men, il terzo della serie Wolverine, il secondo diretto da James Mangold, eppure non ha assolutamente nulla a che spartire con tutta l’interminabile sequela di pellicole targate Marvel o DC, e caratterizzate per lo più (tranne rare eccezioni) da un tediosissimo cliché illustrativo digitale amato solo dai fan.

Qui siamo invece davanti a un solido esempio di cinema molto più classico, confezionato addirittura come rilettura del western nell’era dei supereroi, quasi a ricercare un pedigree di questi ultimi nel mitico Shane del “Cavaliere della valle solitaria”: e va subito detto che anche su questo terreno Mangold riesce molto meglio qui che nel dignitoso ma insipido remake di “Quel treno per Yuma” realizzato una decina d’anni fa.

La vicenda ha un taglio al tempo stesso violentissimo e malinconico, con gli ultimi mutanti che sono ormai destinati a scomparire dalla faccia della terra, Wolverine che tira a campare facendo l’autista e intanto deve accudire Calibano e un professor X ormai novantenne e malato: almeno finché irrompe sulla scena una nuova generazione allevata in laboratorio, e incarnata dalla bambina forse più aggressiva vista sullo schermo dai tempi del Baby Killer di Larry Cohen.

Il tutto andrà a confluire in una lunga fuga attraverso le strade d’America, con i protagonisti braccati dagli uomini della Transigen, costretti loro malgrado a diventare involontari portatori di morte, in cerca di una salvezza che sembra solo l’inganno fittizio di un albo di fumetti. Al di là del racconto, ciò che conta è come sia scomparsa da “Logan” quel tipo di immagine fiaccamente illustrativa tipica della grande maggioranza dei blockbuster-comics, per tornare invece a un tipo di cinema sostanzialmente classico, molto fisico, carico di un’energia che deriva dal lavoro sulle inquadrature, l’impatto materico delle immagini, i movimenti di macchina funzionali, l’attenzione ai personaggi e alle loro emozioni.

Con espliciti omaggi al “Cavaliere della Valle Solitaria” e al Johnny Cash di “Hurt”, oltre al Clint Eastwood degli “Spietati” che Mangold indica tra i modelli del personaggio di Logan, ma soprattutto con tanti momenti intensi che vanno al di là del semplice schema narrativo: un buon ritorno per James Mangold, che dopo il promettente “Cop Land” di vent’anni fa era rapidamente calato (qualcuno paragona il suo “Identità” a “Split” di Shyamalan, ma forse è solo per il soggetto, perché “Split” è film di regia personalissima…) e si ripropone adesso nel gruppo dei pochi autentici registi di genere rimasti al cinema americano.

 

LOGAN – THE WOLVERINE

(Logan, Usa, 2017)  Regia: James Mangold – Sceneggiatura: Michael Green, Scott Frank, James Mangold – Fotografia: John Mathieson – Scenografia: François Audouy – Musica: Marco Beltrame; montaggio: Michael McCusker, Dick Westervelt – Interpreti: Hugh Jackman (Logan “Wolverine”/X-24), Patrick Stewart (Charles Xavier/Professor X), Dafne Keen (Laura Kinney/X-23), Richard E.Grant (dr.Zander Rice), Boyd Holbrook (Donald Pierce), Stephen Merchant (Calibano), Eriq La Salle (Will Munson), Elizabeth Rodriguez (Gabriela) – Distribuzione: 20th Century Fox – Durata: 2 ore e 17 minuti.

 

 

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