Joe R. Lansdale e il cinema

di Pasquale Pede.

Non capita mai di imbattersi in un film tratto da Joe R. Lansdale. E’ stato quindi un piacere l’uscita, l’anno scorso, di Cold in July, fedele trasposizione del romanzo omonimo uscito nel 1989.

Richard Dane, un pacifico corniciaio, sorprende una notte un ladro in casa e lo uccide per legittima difesa. Il rimorso lo sconvolge, ma dal suo gesto deriveranno conseguenze ben peggiori, modificando per sempre la sua ordinaria esistenza. Prima compare un tizio poco rassicurante, padre del morto, che vuole vendicarsi, poi si scopre che l’ucciso non è in realtà suo figlio. La polizia si comporta stranamente, Richard e il padre allora si alleano per far luce su un traffico di snuff movies  collegato allo scambio di persona. Ne consegue la caccia ai colpevoli, con pedinamenti, scontri e carneficina finale.

Il film di Jim Mickle è una buona introduzione all’universo di Lansdale, perlomeno del Lansdale più noir. Vi troviamo infatti tutti gli ingredienti tipici dello scrittore: ambientazione  texana come lui – Texas orientale per la precisione, lo stesso di Charles Williams o Jim Thompson – personaggi pittoreschi che sembrano usciti da un caravanserraglio, violenza splatter, un tono generale che mescola grottesco e atrocità con effetti sovente esilaranti. Sullo sfondo un retrogusto nettamente western, fra natura selvaggia e lotta serrata fra buoni e cattivi (qui fra cattivi e meno cattivi) fino allo showdown finale.

Va detto che il film coglie di questi elementi l’aspetto più superficiale, finendo col diventare nella seconda parte un action movie come tanti, in cui contano più le coreografie degli scontri che lo spessore dei personaggi.

Comunque per chi ama Lansdale è una gradita sorpresa gustare sullo schermo qualcosa tratto dalle sue pagine.  E’ abbastanza strano infatti che un autore di tale notorietà, la cui vasta produzione sembra concepita appositamente per il cinema, e che proprio da un certo cinema di serie C trae la propria ispirazione, sia stato così poco preso in considerazione da Hollywood.  L’unico altro caso finora, se si fa eccezione del corto Bar Talk (apparso all’ultimo Noir in festival) e di alcuni prodotti di animazione supereroistici, è Bubba-Ho-Tep (2002) di Don Coscarelli, storia delirante in cui Elvis Presley, creduto morto, è in realtà ospite anonimo di un ospizio e deve vedersela con una mummia egiziana rediviva in cerca di anime di cui nutrirsi. Anche questo film (un gioiellino per chi ama il trash intelligente) è un ottimo esempio dell’universo dello scrittore, qui nel versante più surreale.

Lansdale è infatti l’esponente migliore di quella ondata di autori degli anni 70/80 che, in pieno clima postmoderno, hanno rinnovato la produzione di genere negli USA, contaminandoli con disinvoltura fra loro e mescolando con irriverenza cultura alta e cultura bassa. Dotato di invidiabile capacità affabulatoria, che gli ha permesso una produzione sterminata –decine di romanzi e centinaia di racconti, nonché fumetti e sceneggiature per la tv – egli si muove con sprezzo del pericolo nel mare magnum della fiction popolare in cui è cresciuto (è nato nel 51).

Fra le presumibili fonti della sua ispirazione non facciamo fatica a intravedere i film horror e di fantascienza di serie C (da Corman in giù, per intenderci), i fumetti dell’orrore della Entertainement Comics, gli spaghetti western e i film di kung fu, il noir dei paperbacks anni 50, il cinema exploitation etc. etc. Insomma, tutta quella produzione che oggi comunemente si definisce cultura pulp, analoga a quella cui fa riferimento Tarantino, che sdoganò il termine, ma senza la sua spocchia intellettualistica.

Lansdale ama con tutta evidenza questo immaginario, ma non è un citazionista né gioca su metalivelli di scrittura. Piuttosto parte da questo materiale con rispetto, lo rimescola senza remore e lo porta alle estreme conseguenze. Insomma, lo utilizza come magazzino da cui attingere a piene mani per edificare il proprio mondo narrativo. Così la sua copiosa produzione svaria dal noir all’horror, dal western alla fantascienza e al thriller, ma più spesso è un miscuglio di tutti questi generi che rende impossibile attribuire le sue opere a categorie ben definite.
Un esempio su tutti per chiarire, anche se Lansdale è assai conosciuto in Italia. Prendiamo La notte del drive in, una storia in due parti (cui poi fu aggiunta una terza) che inizialmente fu pubblicata da Urania, pur non trattandosi di vera e propria fantascienza (a riprova della sua difficile collocazione in un genere preciso). Ambientato appunto in uno di quei cinema all’aperto dove si può assistere stando in macchina alla programmazione continua di film a basso costo, si basa su un presupposto di sapore buñueliano: il passaggio di una cometa fa sì che una sera il drive in venga chiuso da una barriera invisibile, per cui nessuno può uscirne. Il pubblico, terrorizzato, comincia a regredire a stati sempre più primitivi, si organizza in bande in lotta fra loro, identifica una sorta di capo messianico e così via verso una situazione in cui cadono progressivamente le sovrastrurrure della “civiltà” e si scatenano gli aspetti più primitivi. Le cose peggiorano nella seconda parte (Not Just One of Them Sequels, recita l’ironico sottotitolo), in cui dallo schermo, su cui continuano a passare film ininterrottamente, cominciano a uscire dei veri dinosauri, per di più parecchio affamati.

La storia stessa sembra riflettere il processo narrativo di Lansdale. Una premessa comprensibile solo all’interno di un contesto di riferimenti dato (la cultura pulp di cui si è detto), che stabilisce subito una complicità col lettore; un’ambientazione che sia anch’essa connotata in tal senso (il drive in), con funzione di cornice di riferimento realistica ma anche di collocazione mitica; una storia basata sulla capacità di sviluppare le premesse date fino alle estreme conseguenze (qui la creatività di Lansdale è magistrale, leggere per credere); un finale apocalittico che ne rappresenti la coerente conclusione.

Un procedimento che richiama quello con cui un jazzista costruisce un assolo a partire da un tema di partenza, basandosi sugli accordi del tema e su una serie di riferimenti alle versioni precedenti dello stesso. Come in campo musicale lo stile e l’arte del solista si manifestano nell’originalità con cui sviluppa il suo pensiero musicale all’interno di questa griglia di riferimento, così nel caso di Lansdale le sue virtù maggiori consistono nella sorprendente capacità di far crescere le trame basate sulle situazioni più assurde e sull’originalità della sua scrittura.

Veniamo quindi a quest’ultima. Lo stile di Lansdale è impostato su un registro parlato, zeppo di metafore iperboliche e di colorite espressioni tratte dal linguaggio di strada, ed è dotato di un umorismo che si indovina tipico della cultura meridionale americana. Essa scorre via con ammirevole efficacia riuscendo sempre a mantenere un difficile equilibrio fra il comico e l’atroce.

Oltretutto Lansdale è assai abile a modulare la scrittura su registri differenti a seconda del tipo di storia. Se essa è più corriva, “fumettistica”, nelle storie più “alimentari”, può diventare più complessa e profonda in certi romanzi senza etichetta, dove lo scrittore fa sul serio, come Fiamma fredda o Acqua buia; nella la serie di Hap e Leonard si gioca molto sui dialoghi fra i due protagonisti, sboccati e irriverenti, e su metafore esilaranti nella loro enormità, in cui conta molto il retaggio regionale di provenienza dell’autore.

Per venire alla produzione propriamente noir, di cui Freddo a luglio è uno dei primi esempi, essa è racchiusa in due filoni.  Ci sono i romanzi veri e propri, quelli appena citati e altri come La sottile linea scura o L’anno dell’uragano, in cui la vicenda crime si dipana sempre negli sconfinati territori texani. Terre dalla natura selvaggia, in cui un uragano può distruggere una cittadina, le paludi sono infestate da mocassini d’acqua e alligatori, il deserto può far morire di caldo o di sete; un’America di provincia in cui convivono tranquillamente modernità e barbarie.  Sovente il protagonista è un adolescente che scopre un segreto o si imbatte in un crimine, e comunque viene coinvolto in vicende terribili in cui deve scoprire se stesso e diventare adulto. Si tratta in fondo di romanzi di formazione, che riprendono una tradizione narrativa meridionale che va da Twain a Faulkner, e che rievocano i tempi della Depressione o gli anni 50, nei quali, attraverso la suspense, Lansdale mira ad esplorare i temi profondi che permeano la sua narrativa. I rapporti familiari, in specie il rapporto fra padri e figli, la lotta come metafora esistenziale, il razzismo e l’intolleranza di quell’America profonda.

Poi c’è il ciclo vagamente hard boiled imperniata sulle avventure di Hap e Leonard – molto seguita anche qui in Italia – in cui riprende la tradizionale figura del detective sdoppiandola in una strana coppia di proletari texani di mezza età, uno bianco e liberal, l’altro nero, repubblicano e gay, alle prese con serial killer, trafficanti di droga e delinquenti vari. Fra i titoli: Una stagione selvaggia, Mucho Mojo, Il mambo degli orsi, Bad Chili, e il recente Honky Tonk Samurai. La serie è imperniata sulla esplosiva dialettica fra i due sodali tanto antitetici, e negli anni ha sviluppato soprattutto un coté western, con scontri e risse, caccia ai cattivi e conflitti all’ultimo sangue.

Bisogna precisare tuttavia che, dietro l’indubbia godibilità di queste storie, che sono innanzitutto avvincenti e divertenti, inchiodando il lettore alla pagina, traspare l’ispirazione profonda di Lansdale, che si mette sempre dalla parte delle minoranze senza potere (neri, donne, ragazzi, gay e poveri cristi) e, dietro la patina avventurosa, denuncia con asprezza la violenza, l’ignoranza, il razzismo che infestano la realtà delle sue terre (e, a giudicare dalle recenti elezioni presidenziali, dell’intera nazione). Sotto le sembianze dell’abile intrattenitore, del giocoliere dei generi, insomma, si cela un autentico narratore, dotato di personalità, di visione del mondo, di stile, tanto che possiamo considerare Joe R. Lansdale una delle figure di maggior spicco nel panorama attuale del noir americano.

 

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