Max Allan Collins: scrittura, cinema e tv

di Pasquale Pede.

Una fiction di recente programmazione su Sky Atlantic, Quarry, ci dà l’occasione di parlare di un autore di noir poco conosciuto in Italia. La serie, infatti, è tratta da un ciclo di romanzi di Max Allan Collins, i cui primi episodi sono stati pubblicati per l’occasione da Vallardi, con accattivanti copertine in puro stile paperback di Robert Mc Ginnis.

La serie tv, una produzione Cinemax creata da Graham Gordy e Michael D. Fuller con contributi di Collins e diretta da Greg Yaitanes, è ambientata a Memphis negli anni 70, ed è incentrata sul difficile rientro a casa di un reduce del Vietnam. Sconvolto dall’esperienza bellica, l’ex combattente non riesce a lavorare, scopre che la moglie lo ha tradito, viene visto con diffidenza un po’ da tutti e finisce per essere “cooptato” da un sinistro personaggio,  Broker, in una rete di killer su commissione. Da qui si dipanano serrate vicende piene di violenza e colpi di scena, girate con indubbia efficacia, che rendono la fiction una delle migliori serie in circolazione.

Ma veniamo alla loro fonte letteraria e al loro autore.

Occorre innanzitutto riconoscere che in questo caso la trasposizione dalla pagina allo schermo dimostra quanta distanza ci possa essere tra i due linguaggi. In questo caso, a svantaggio della fonte originale. Mentre la fiction come si è detto è di ottimo livello, i romanzi, a giudicare dai primi episodi, sono piuttosto deludenti.

Scritti con uno stile modellato su un hard boiled di maniera, si presentano come la cronaca in prima persona delle avventure di un duro cinico e senza scrupoli, raccontate senza fronzoli né psicologia, solo fatti e azione, secondo la migliore tradizione della “scuola dei duri”. Ma non bastano scrittura in prima persona, dialoghi sfrontati e violenza abbondante per ricreare quel clima (per chi volesse approfondire rimando all’ottima analisi di Andrea Fornasiero su Film TV online).

Collins ha dichiarato di essersi rifatto ai romanzi di Richard Stark su Parker, per cercare di superarli nella stessa direzione. L’intenzione non ci sembra però corrispondere ai risultati.

Come si ricorderà le storie di Parker, un rapinatore di professione, furono concepite negli anni 60 da Donald Westlake (Stark era lo pseudonimo utilizzato per l’occasione) adottando programmaticamente uno stile spoglio di qualsiasi risvolto emotivo, proprio per adattare ai nuovi tempi l’innovazione operata da Hammett nel poliziesco americano sui pulp degli anni 20. Per chi ne ha memoria questi libri aspri e veloci furono una ventata di aria fresca nel ristagnante mondo del giallo di quegli anni. Ma Westlake compiva un’operazione consapevolmente metaletteraria, giocava con formule narrative connotate per esibirle e allo stesso tempo sfruttarle di nuovo.

Collins invece si identifica piattamente e tutt’al più opera una mimesi: applica la formula di Stark, ma, appunto, la riduce a formula, a maniera.

C’è l’antieroe spietato e roccioso (Quarry vuol dire “cava di pietra”, ma per inciso è anche uno degli pseudonimi di Marvin H. Albert, scrittore simile a Collins), c’è la vicenda dove tutti sono cattivi, c’è la scrittura che scorre veloce, ma i personaggi sono stereotipati, la descrizione d’ambiente è bidimensionale, e tutto si riduce a cliché.

Detto ciò per amor di verità, passiamo ai motivi di interesse di questo autore, che pure non mancano.

Il principale è l’inflessibile devozione che egli dimostra verso il noir e la cultura pulp.

Nato nel ’48, Collins appartiene a quella nuova generazione di scrittori cresciuti nel periodo di fulgore finale della narrativa di genere: era l’epoca in cui furoreggiavano i paperback, i fumetti e i film polizieschi di serie B. Un mondo di fiction popolare e senza sofisticazione che produsse il meglio del noir americano, ed è palese che Collins è cresciuto nutrendosi di questo ben di dio. Tutta la sua opera rivela conoscenza e amore verso questo universo a tinte forti, e lo sforzo evidente di celebrarne i fasti.

C’è poi la sua poliedricità: da professionista della fiction, egli si applica con eguale impegno in diversi ambiti di espressione, letteratura, fumetti, cinema e sceneggiature tv, dando vita a una produzione molto variegata e mediamente godibile.

Inizia molto giovane, nel 75, con una serie, sempre ispirata a Stark, dedicata a Nolan, un rapinatore avanti con gli anni specialista di grossi colpi, che proseguirà per un decennio (un paio di questi romanzi sono reperibili nel Giallo Mondadori, Fra purgatorio e inferno e Criminali non si nasce). Nel 76 inizia le storie di Quarry, mentre nell’83 dà vita alla serie su Mallory, anch’egli reduce dal Vietnam, giornalista, poliziotto e scrittore di gialli (apparso solo una volta presso Mondadori con Che succede a Port City?). Instancabile e sempre alla ricerca di rinnovamento, inaugura nell’85 una serie “storica” che inizia nella Chicago degli anni 30, imperniata sul detective Nat Heller, che nelle sue inchieste incrocia personaggi famosi come Dillinger, J. Edgar Hoover, Al Capone e persino Ronald Reagan. I francesi ne dicono un gran bene, ma che mi risulti resta inedita qui da noi. Non contento, Collins dedica alcuni romanzi alla figura dell’incorruttibile Elliot Ness (un federale realmente esistito, quello interpretato da K. Costner in Gli intoccabili di Brian De Palma), che gli valse il premio Shamus dei PEWA.

Come si vede una produzione copiosa e dalle molte sfaccettature.

Ma non finisce qui.

Da sempre ammiratore di Mickey Spillane, Collins ne diviene amico e mentore quando il controverso creatore di Mike Hammer, convertito ai Testimoni di Geova, ormai anziano, si godeva i lauti proventi della sua carriera. Gli dedica un affettuoso saggio insieme a J. L. Traylor, One lonely Knight, tentandone una rivalutazione. E’ un testo interessante, anche perché l’unico dedicato a Spillane, che ha il pregio di andare controcorrente prendendo sul serio quello che è stato comunque, di gran lunga, l’autore americano di polizieschi più venduti di tutti i tempi. Il saggio, pieno di informazioni, è viziato però dall’evidente partito preso apologetico. Non pago di questo tributo, Collins utilizza Spillane per un cameo in un suo film, Mommy (ne girerà altri due), ed è divertente vedere il vecchio Mickey in veste bonaria – specie per chi ricordi la sua interpretazione di Mike Hammer in un mediocre film degli anni ’60, Cacciatori di donne, in cui furoreggia nel ruolo di duro con la classe di un ultras da curva sud. Addirittura, Collins riesce ad ottenere i diritti per completare alcuni romanzi incompiuti dello scrittore, tentando di attualizzare le avventure di Hammer. Questi romanzi sono apparsi in Italia, sempre per il Giallo Mondadori, ma l’operazione è riuscita a metà. A parte le ovvie discrepanze cronologiche – Hammer è sempre un ex combattente della seconda guerra mondiale con la sua Colt 45 d’ordinanza, e Velda è sempre una bionda da mozzare il fiato, ma i due dovrebbero essere dei decrepiti vecchietti! – il tentativo di rendere autoironico il personaggio lo priva di quella torva violenza che negli anni del dopoguerra gli conferiva comunque un qualche spessore tragico. Il risultato è di rendere Hammer datato e un po’ patetico.

Da ricordare, nell’ambito dell’attività di saggista, anche uno studio dedicato al grande Jim Thompson.
Instancabile, Collins si dedica anche alle novelization, una pratica diffusa negli Stati Uniti che consiste nel trarre dei libri da film di successo (dallo schermo alla pagina, stavolta); in Italia è apparso Nel centro del mirino, dal film con Clint Eastwood.

Va menzionata altresì l’attività di Collins come scrittore di comics. In particolare ha avuto l’onore di sostituire Chester Gould per i testi del glorioso Dick Tracy dal 77 al 95, ha poi creato suoi personaggi, Mike Mist e Ms. Tree’s, e ha anche ripreso Mike Danger,  un vecchio character creato nel dopoguerra dallo stesso Spillane. Da segnalare che da una sua graphic novel Sam Mendes ha tratto Era mio padre, celebre film con Tom Hanks. Il suo affetto per i fumetti si evidenzia anche in Giallo a fumetti, un recente romanzo parodistico che innesta il mystery col mondo dei comics di supereroi.

Insomma, come si vede, la polimorfa attività di questo scrittore si è dispiegata a tutto campo, ed è sempre sorretta dalla volontà di rinverdire i fasti dei classici della tradizione hard boiled, con particolare affezione per i suoi aspetti più pop – i fumetti, i tascabili – diventandone una specie di celebrazione affettuosa.

In questo Collins è ricollegabile a una tendenza nostalgica che ha attraversato il noir americano degli anni 70, quando il genere aveva acquisito consapevolezza della tradizione da cui discendeva, e spesso guardava all’indietro citandone esplicitamente le componenti. Si pensi ai film che in quegli anni hanno ripreso la figura classica del private eye come Detective Story con Paul Newman, Marlowe, il poliziotto privato con Mitchum o Chinatown di Roman Polanski, o ancora, in letteratura, ad autori di transizione come Bill Pronzini, Stuart Kaminsky o Joe Gores, i quali hanno tutti, in vario modo, fatto riferimento esplicito nella loro opera alla scuola hard boiled.

In Collins questa tendenza è rappresentata al massimo livello, diventa la sua cifra stilistica, e in ciò consiste l’importanza e il valore della sua produzione in sé, al di là delle singole opere. Pur in mancanza di capolavori, anzi a volte, come abbiamo visto, con alcune cadute, possiamo considerarlo un valoroso alfiere postumo della “scuola dei duri”, e in questo senso dispiace che della sua copiosa produzione così poco sia apparso nella nostra lingua.

 

 

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