di Renato Venturelli.
La sezione “Festa mobile” del TFF serve anche a recuperare film già passati in altri festival internazionali, e dalla Quinzaine di Cannes arriva quest’anno uno dei grandi noir della stagione: “Raman Raghav 2.0”, diretto dal regista indiano che è oggi una delle star internazionali del genere, l’Anurag Kashyap di “Gangs of Wasseypour”.
Il Raman Raghav del titolo è un famoso serial killer degli anni ’60, un vagabondo che imperversò nella regione di Mumbai commettendo oltre venti omicidi. Il film è poi solo parzialmente ispirato alla sua figura, perché si svolge ai nostri giorni, con personaggi di fantasia. Ma al centro c’è anche qui un vagabondo assassino, uno scarface dal volto solcato da una lunga cicatrice: un personaggio dai tratti quasi thompsoniani, che uccide per bisogno, per rabbia, per impulso, ma che poi afferma lucidamente di uccidere per il piacere di uccidere.
La prima parte del film è potente e culmina nella lunga fase in cui l’uomo irrompe in casa della sorella, terrorizzata da lui fin dall’infanzia: con modi inizialmente insinuanti, poi sempre più violenti, uccide la donna, il marito, il bambino dopo averlo legato a una sedia, per riprendere quindi il suo cammino. Tutta la seconda parte sarà poi dedicata al confronto con la sua anima gemella, un poliziotto giovane e brillante, ma anche cinico e brutale, senza famiglia, tossicodipendente, corrotto, insensibile con l’amante, insofferente verso i rimproveri del padre. Il serial killer lo ha identificato per un omicidio glaciale che gli ha visto commettere sulla scena di un proprio crimine: e nella lucidità con cui ha identificato in lui il proprio “doppio” sta parte del risvolto thompsoniano dell’intera vicenda. Quando finalmente lo avrà di fronte a sé, faccia a faccia, il criminale lo sfiderà a diventare definitivamente uguale a lui, sostenendo di non uccidere trincerandosi dietro una religione, dietro motivi umanitari o dietro l’impunità garantita da una divisa, ma per l’istinto e il piacere di uccidere.
Grande l’interpretazione di Nawazuddin Siddiqui nella parte del protagonista, capace di passare rapidamente dalla disperazione alla ferocia, dalla rabbia al sarcasmo alla lucida visione del male. E il film contiene inevitabilmente tutta la galleria di eccessi in cui tende a deragliare la regia di Kashyap, sia nel sovraccarico di musica ed effetti visivi, sia nell’enfasi con cui evidenzia l’assunto schematico del racconto, ma con un’energia e una forza che ha pochi eguali nella scena attuale del genere.