GIJON FICX 53 – Taklub: intervista a Brillante Mendoza

gijon mendozadi Furio Fossati.
Brillante Mendoza, regista filippino molto amato dai Festival che fino dalla sua opera prima Masahista (2005) lo hanno gratificato col primo premio a Locarno e il premio del pubblico del Torino International Gay & Lesbian Film Festival, è tornato a Gijon dove nel 2013 gli erano stati dedicati una retrospettiva ed una pubblicazione.
L’occasione è fornita dalla presentazione del suo ultimo film, Taklub, inserito nella Sezione Ufficiale del 53 FICX.

– I suoi film sono sempre di impegno sociale e civile; cosa ha in comune e in cosa differisce dai precedenti questa sua ultima opera?

“In questi dieci anni in cui mi sono dedicato al cinema, ho cercato di vivere la figura del regista come quella di un giornalista in prima linea che fa conoscere al lettore le notizie e lascia che siano loro a crearsi un opinione. Il compito di chi affronta come me temi di vita vissuta è quello di renderli noti, non di proporre una propria opinione. In questo film ci sono tutte le caratteristiche che contraddistinguevano i precedenti con in più un maggiore sentore di una realtà raccontata in maniera documentaristica.”

– Come è nata l’idea del film, “Taklub”?

“La devastazione causata dal ciclone Yolanda nelle Filippine nel novembre 2013 è stata ben presto dimenticata dai mass media che parlano diffusamente di un fatto solo quando è nel suo apice. Viene scritto o detto che queste terribili forze distruttrici siano divenute più invasive a causa del riscaldamento globale, si parla delle migliaia di morti e del milione e più persone che hanno perso la casa. Dopo questo, altra notizia e tutto finisce nel archivio del dimenticatoio. A pochi mesi dal ciclone ha colpito le Filippine, il Dipartimento dell’Ambiente e delle Risorse Naturali mi ha commissionato un documentario sul cambiamento climatico e le sue conseguenze, ma sono riuscito a convincerli che trasformare la vicenda in una fiction – poiché il documentario non ha un vasto pubblico nelle Filippine – avrebbe dato la possibilità a più persone di intendere meglio l’idea del cambiamento climatico: una vicenda raccontata basandosi su poche persone attraverso i propri drammi personali, che rappresentano quello che è accaduto a tanta gente. Ognuno ha il proprio modo per tentare di sopravvivere, per far fronte alle tragedie e questo è quello che volevo mostrare nel film”.

– Non è stato limitato da avere come produttore il Governo?

“Ho avuto la loro fiducia, sono stato aiutato anche nella ricerca di materiale visivo; e gente ha collaborato ancora di più sapendo che non era un film commerciale ma un quadro del loro dramma il più veritiero possibile.

– La scelta degli interpreti?

“Come si può facilmente capire sia per l’immediatezza di certe immagini che per certe imperfezioni, tutti i personaggi di contorno sono attori non professionisti, persone del luogo dove abbiamo girato il film che sono state utilissime anche nella costruzione della sceneggiatura donandoci le proprie esperienze. Dove la fiction diviene ingrediente principale, ho usato ottimi professionisti quali Nora Aunor, Julio Díaz, Aaron Rivera, Rome Mallari, Shine Santos e Lou Veloso, alcuni già tra i miei interpreti in altri titoli, che hanno reso al meglio quanto io ho cercato di trasmettere.”

– Che effetto le fa essere stato premiato in tanti Festival?

“Se dicessi che non mi interessa o non mi emoziona sarei bugiardo. Ho ricevuto riconoscimenti anche da Festival quali Cannes, Berlino, Venezia, Locarno, Sitges e da tanti altri meno noti ma non per questo meno importanti. E’ vero, lavoro per il pubblico ma ottenere anche riconoscimenti ufficiali inorgoglisce e ti da la carica per tentare di non deludere, di fare sempre meglio.”

– Lei è giunto al cinema a 45 anni di età. Come mai non prima?

“Mi sono fatto le ossa in campo pubblicitario e, quando ho trovato il coraggio e le persone giuste per tentare questa nuova avventura, mi sono buttato a testa bassa. Forse è perché ho iniziato tardi che ho tanta voglia di fare, di impegnarmi in un nuovo progetto sempre un po’ differente, di tentare di essere utile anche al mio paese.
Da alcuni anni ho creato un Festival in cui presento pochi titoli fatti da miei connazionali. Con una certa visibilità internazionale, vari film hanno trovato distribuzione anche in occidente.”

– Conosce il cinema europeo?

“In Filippina non giungono molti film d’autore realizzati in Europ; i distributori puntano molto sulle produzioni orientali e su titoli da Blockbuster. Girando per Festival ho iniziato a conoscere meglio questo cinema che mi interessa sempre di più. Nella fiction la differenza fondamentale che noto tra il cinema orientale ed il vostro è che da noi conta molto il viso del interprete che esprime tutto con uno sguardo, l’espressione del volto. Per quanto ho visto, nei film voi date maggiore importanza allo studio dei caratteri, alla psicologia dei personaggi. Probabilmente, questo modo diverso di fare cinema è legato anche alla cultura del pubblico a cui sono rivolti. Vedo tantissimo e cerco di capire sempre meglio tecniche narrative diverse: chi non accetta modi differenti di fare cinema, rischia di rendere sempre meno interessante il proprio lavoro.”

– Cosa porta avanti con Center Stage Productions da lei creata nel momento in cui ha realizzato il suo primo film?

“L’esperienza maturata in tanti anni nel pubblicitario mi ha fatto capire che, per essere più liberi, bisognava produrre da soli i film per evitare di avere eccessivi paletti da superare. Continuo a realizzare film e documentari che riflettono la vita dei settori emarginati della società filippina, e sto aiutando la nascita di un pubblico per i film indipendenti nel mio paese proponendo titoli che possano dire qualcosa. Attualmente, l’attività principale è quella di trovare talenti sconosciuti, con idee valide da potere aiutare per dimostrare che il cinema filippino, se fatto col cuore e con bravura, può essere visto ed amato in tutte le parti del mondo.”

Furio Fossati

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