KVIFF 2015 Karlovy Vary: intervista a Harvey Keitel

harvey keitel di Furio Fossati.
Volto di roccia scavato dal vento, espressione dura che un sorriso solo accennato riesce però a trasformare in viso simpaticamente comunicativo, senza barba e con uno sguardo quasi ironico, Harvey Keitel incomincia con un po’ di ritardo la sua lunga giornata a Karlovy Vary che comprende anche la presentazione di Youth e un Master, con la voglia di essere assieme agli amici che nel 2004 gli avevano assegnato il Crystal Globe alla carriera.

Che effetto le fa essere sempre così bene accolto come un grande divo, personaggio che lei non ama?

“Chiunque tra i miei colleghi che dice di non amare un bagno di folla o è un bugiardo o ha sbagliato mestiere. Karlovy Vary ti dà il metro della tua popolarità nel Europa del Est a cui sono molto vicino avendo avuto un padre polacco e una madre rumena. Le origini non si dimenticano e qui ci torno realmente volentieri. L’occasione è stata la presentazione di Youth di Paolo Sorrentino, ma sicuramente ci tornerò di nuovo. Contrariamente ad altre parti del mondo, chi ti applaude sa anche chi sei e cosa hai interpretato.

Sorrentino è l’ultimo degli autori italiani con cui ha collaborato, ma lei ha dimostrato di amare il nostro cinema lavorando con nostri autori.

“Ho avuto la fortuna di girare con grandi registi quali Ettore Scola ne Il mondo nuovo assieme a Marcello Mastroianni, con il sempre originale e spesso sottovalutato Roberto Faenza in Copkiller (1983), Lina Wertmüller mi scelse assieme ad Angela Molina per Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti e poi L’inchiesta di Damiano Damiani, Caro Gorbaciov di Carlo Lizzani, Vipera di Sergio Citti ed altri titoli meno riusciti. L’esperienza è stata comunque molto interessante e la rifarei in toto.”

Secondo lei, il cinema italiano potrà essere interessante anche nel prossimo futuro?

“Basta pensare a Garrone e Gomorra per rispondere positivamente a questa domanda. In Italia c’è ancora voglia di fare cinema e la possibilità di farlo con piccoli budget può creare grandi film, grandi autori.

Candidato al Golden Globe, nominato agli Oscar ma senza mai ottenerli. Cosa ne pensa?

“I giudici, probabilmente, pensavano che se mi fossero stati assegnati avrei rischiato di divenire interprete ripetitivo, senza più nulla da dire. Così mi costringono a tentare di fare sempre meglio…”

Lei continua a mettersi in gioco, ad accettare nuove scommesse.

“Mi ritrovo perfettamente in questo pensiero buddista: il viaggio è la meta. Per questo gli oltre 130 lavori fatti per cinema e televisione li considero solo come un inizio di un’avventura che mi vede protagonista.”

Oltreché nel cinema e per la televisione, lavora anche in teatro?

“Certo, non potrei farne a meno, le radici non si devono dimenticare. Nonostante fossi balbuziente mi presero all’Actor’s Studio, dove ho studiato direttamente con Dean James Lipton, Frank Corsaro, Lee Strasberg e Stella Adler; incredibile, mi curarono anche la balbuzie. E poi il teatro off Broadway, l’amicizia con Sam Shepard… Come potrei voltare le spalle a tutto questo?”

I suoi rapporti con Hollywood?

“Il cinema che più si vede nel mondo è quello commerciale. Hollywood è una entità importantissima per il nostro mondo artistico ma è anche chi impedisce che straordinari film siano fatti. Tanto valida quando negativa; bisogna lavorare non solo per le major. Non si può lasciare il cinema nelle mani di persone che vogliono solo fare soldi o a dei politici.”

Esiste la possibilità di convivenza tra politica e cinema?

“Difficile da dire e per dare una risposta forse può essere utile fare un grosso passo indietro nella storia. Il teatro greco è nato per dare spazio alla necessità delle persone di esorcizzare i propri problemi e discutere dei loro desideri. Dapprima erano solo danze, poi sono stati introdotti i dialoghi. E’ importante avere un rapporto anche non soddisfacente in maniera completa per sperare in ulteriori evoluzioni”

Molti suoi colleghi sono passati anche dietro la macchina da presa. Lei non è tentato?

“Come no, sono un provetto regista di video familiari, almeno così affermano i miei. Scherzi a parte, io ho il massimo rispetto delle professionalità e ritengo che chi una cosa lo sa fare bene continui a ricoprire questo ruolo.”

Preferisce i registi che le indicano come fare ogni cosa o quelli che lasciano più improvvisare.

“L’improvvisazione è una splendida forma di espressione che, in certi casi, è addirittura indispensabile. Ma non sempre è possibile, a volte può essere dannosa. Pensate ad una grossa produzione con molti interpreti: se ognuno volesse cambiare qualcosa non sarebbe più possibile realizzare un film. Comunque, preferisco i registi che mi dicono chiaramente quello che vogliono; questo non vieta che poi si possa discutere e trovare assieme qualcosa di differente per rendere più interessante il personaggio.”

Cosa è per lei giovinezza.

“La giovinezza è un modo di sentirsi vivi e felici, non solo un’età anagrafica. Per me è bello ogni giorno ricevere sorrisi, abbracci, un saluto, godere della natura o di una chiacchierata inattesa con amici.”

Una ricetta per fare uscire il cinema dalla crisi?

“Se fossi capace di rispondere sarei un genio. L’importante è che il cinema continui, che possa esprimere sempre nuove emozioni. Solo così potranno nascere titoli interessanti, nuovi autori che potranno creare le basi per una rinascita del cinema. Budget low cost ma con tante, tante idee: è questa la ricchezza tanto difficile da incontrare.”

Lei spesso ha lavorato con sconosciuti che poi sono divenuti suoi amici e importanti autori per il cinema.

“Amo gli indipendenti, quelli che hanno un’idea e magari si indebitano per realizzare un film. Ho lavorato con esordienti come Martin Scorsese per Chi sta bussando alla mia porta? (I Call First, 1967) film realizzato come sua tesi di laurea e Ridley Scott per I duellanti (The Duellists, 1977): è giusto continui ad avere fiducia sulle capacità di chi, sconosciuto, abbia voglia di dimostrare quanto vale. Ripeto, le idee sono la vera ricchezza del cinema”.

(Furio Fossati)

 

 

 

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