American Sniper: così parlò Clint

american sniperFilm militarista, film di propaganda, film guerrafondaio… A leggere molti interventi su “American Sniper” parte della critica italiana sembra essere risprofondata indietro di quarant’anni, ai tempi del “Callaghan fascista”.

Ma è anche possibile che questi commenti siano quasi utili. Da tempo infatti Eastwood era stato trasformato in Italia in una specie di “santino” liberal, improvvisamente celebrato da tutti dopo anni di giudizi sprezzanti: ma veniva per lo più elogiato secondo una logica che poco o nulla aveva a che fare sia col cinema di Eastwood, sia più in generale con quasi tutto il cinema classico americano. Non c’era nessun tentativo di comprendere Eastwood nell’ambito della sua opera da narratore “fordiano”, ma ci si era semplicemente appropriati di lui, adattandolo alla propria logica. E con un film come “American Sniper” le contraddizioni sono di nuovo esplose. Come ai tempi dell’ispettore Callaghan…

Ben venga, quindi, un film come “American Sniper” che permette di tornare a separare con nettezza chi guarda davvero i film e chi cerca solo letture ideologiche. Ma fa anche piacere andare a dare un’occhiata ai dibattiti che ci sono al di fuori di questa nostra isola infelice. Come un’intervista a Eastwood pubblicata su “Positif” di gennaio, dove grazie al cielo si vola un po’ più alto e ci sono parecchi passaggi interessanti. Ecco alcune delle risposte di Eastwood:

L’ISTINTO DELLA CACCIA –  “Come un cacciatore, (Chris Kyle) deve sentire una certa soddisfazione quando spara. Ma dopo un momento, deve cominciare a pensare che l’altro è un essere umano, che ha una famiglia, una moglie o una compagna.  (…) E’ esattamente quello che pensavo di Kyle all’inizio: deve eliminare delle persone e razionalizza dicendosi che deve proteggere quelli che cercano di prendere questa città. Quando alla fine lo psichiatra gli chiede se ha mai avuto l’impressione di fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare risponde: “No, andrò al Creatore fiero di ciascuno dei miei tiri”. Ma nei suoi occhi, solo per un brevissimo istante, qualcosa sembra dire “no, è falso”. Bradley Cooper ha reso tutto questo brillantemente. Dev’esserci per forza un istante in cui, quale sia il numero di persone che si sono eliminate, si pensa che qualcuno aveva una vita da qualche parte, degli amici, una famiglia, una moglie, una madre o un padre”.

SPARARE AL BAMBINO – “Al nostro primo incontro, ho detto a Jason Hall, lo sceneggiatore che aveva passato molto tempo con Kyle: “Mi domando se ha mai pensato un attimo a sparare sul bambino di sette anni”. E Jason mi ha detto: “Ma lui ha sparato sul bambino!”. Era una situazione forte, com’è possibile che non fosse nel libro? Mi ha risposto che Kyle e il tizio che lo aiutava a scrivere hanno pensato che bisognasse un po’ attenuare. Io non volevo cose così: “Voglio fare il film alla mia maniera: se mi assicura che ha sparato sul bambino (cosa che mi è stata confermata da Taya) non voglio attenuare niente”. Loro temevano la reazione del pubblico, l’incomprensione. Ho risposto: Capiranno alla fine. Ma per capire questo ragazzo, bisognava partire da lì”.

UOMINI E ANIMALI – “Dopo, sembra razionalizzare: ma sono sicuro che puntando il secondo ragazzo si sentiva come un cacciatore. Anche se non lo so veramente, non amando cacciare. Siccome non sparerei mai su un animale, ho riflettuto ancora un po’: una persona che può distruggervi è una cosa, un animale che non ha alcuna intenzione negativa è diverso”.

ADDESTRAMENTO – “Non volevo fare un film di addestramento, se ne sono visti tanti! Volevo dire quanto era duro in una scena breve, per poi passare ad altro. Stessa cosa per i fucili: i 300 degli sniper e quelli di Mustafa, non volevo glamourizzarli”.

SENZA FINE –  “Nel film non c’è una fine, come nella realtà. Il nostro presidente ci dice che è ufficialmente finita e poi di colpo bisogna andare di nuovo. Come in Afghanistan. Secondo l’ultima elezione era la guerra giusta. Ma non esistono guerre giuste. Ho delle opinioni un po’ libertarie a questo proposito: ho sempre pensato che mi erano stati rubati due anni di vita a causa della guerra. Non lo rimpiango, non sono andato al fronte, non ho combattuto. Ho avuto la fortuna che le circostanze mi hanno preservato. Ma molti di quelli che si erano addestrati con me sono stati uccisi in Corea, ed era solo quattro anni dopo la seconda guerra mondiale. Poi c’è stato il Vietnam. Si direbbe che ogni quattro anni si riparte nel merdaio. C’è da diventare cinici…”

NESSUNO E’ TUTTO BIANCO O TUTTO NERO – “Ci sono episodi della storia che si pensa che non sono veramente nobili, ma vale la pena raccontare come si è arrivati fin là: l’internamento dei giapponesi nei campi, o mandare i nisei a fare il lavoro sporco in Italia. Come tutti, abbiamo delle cose da nascondere. Tutti pensano che Hoover era un pazzo, ma quando facevo J.Edgar sono stato sorpreso nello scoprire che era contro l’internamento dei giapponesi e contro Roosevelt e il ministro della giustizia che l’ordinavano. Non ho potuto metterlo nel film perché non l’avevo concepito in questo senso. Il mondo riserva molte sorprese: le persone non sono tutte bianche o tutte nere, ci sono altre componenti nella loro personalità”.

KYLE E HARRY –  “Avevamo girato la scena in cui Kyle uccide due ladri d’auto a San Diego. Era venuta bene e Bradley era molto efficace. Ma mi sono detto che sembrava l’ispettore Callaghan.  Harry l’avrebbe fatto. Sua moglie e altri dicono che è vero, ma resta qualche leggero dubbio. Mi sono detto che non ne avevo bisogno. Non corrispondeva a quello che cercavamo di dire su Kyle”.

HOWARD HAWKS – “Era divertente fare Jersey Boys e subito dopo questo film. Da giovane ammiravo molto Hawks. Risale ai tempi del Sergente York, sono cresciuto con quei film formidabili, La signora del venerdì, il primo Scarface. Mi piaceva perché non aveva paura di niente: provava ogni tipo di soggetti”.

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